In un videomessaggio diffuso il 22 luglio scorso su X (ex-Twitter) il tono è accorato. Il patriarca latino di Gerusalemme, cardinale Pierbattista Pizzaballa, ha indirizzato ai fedeli delle parrocchie della diocesi, in particolare quelle in Israele e Palestina, un appello a non abbandonare la propria terra. «La situazione qui è davvero difficile – ammette il patriarca –. La Terra Santa non è un posto semplice. Ci sono tante sfide per tutti, specie oggi per le famiglie che hanno figli piccoli o per chi vuole costruire una famiglia. E la tentazione è quella di trovare altrove una vita più semplice per sé e i propri cari. Voglio dire a tutti costoro: è vero! Ci sono posti dove è più facile vivere. Ma come cristiani abbiamo ricevuto una chiamata a vivere in questa terra e non lo possiamo dimenticare. Dobbiamo dare un contributo di speranza alla nostra società. Una speranza che non viene da fuori, ma prima di tutto risiede nel nostro cuore. Da qui deriva la ragione di speranza che dobbiamo offrire ai nostri figli per non abbandonare la nostra terra».
Dopo il 7 ottobre 2023 anche per i cristiani sono arrivati tempi bui. Dopo gli anni del Covid-19, che ha fiaccato pesantemente l’economia e ha gettato sul lastrico intere famiglie, specie quelle cristiane di città la cui economia è fortemente dipendente dal turismo religioso, come Betlemme, ora la guerra tra Israele e Hamas, con le sue infinite ripercussioni, sta spingendo i cristiani specialmente dei Territori occupati, a una nuova, dolorosa diaspora.
Ce ne aveva parlato subito dopo l’inizio della guerra fra Rami Asakrieh, parroco della parrocchia latina di Betlemme, lamentando la sua impotenza di fronte alla decisione di intere famiglie di lasciare, appena possibile, la Palestina. I pochi cristiani rimasti a Gaza, specie i giovani, guardano ormai all’emigrazione come a un’ancora di salvezza. In altri centri e villaggi della Cisgiordania, come Taibeh, la violenza dei coloni degli insediamenti e degli avamposti sta creando una situazione insostenibile. Il blocco dell’economia, con la revoca dei permessi di lavoro in Israele per decine di migliaia di lavoratori palestinesi, la tragedia di Gaza, che ha creato morte e distruzione e ha allargato il fossato d’odio tra i popoli che abitano questa terra, stanno facendo il resto.
Restare in Terra Santa è una vocazione, come ha sottolineato il patriarca. Oggi come non mai. Una vocazione che richiede sacrificio e che va compresa dai cristiani locali, certamente, ma sostenuta dai cristiani di tutto il mondo attraverso la presenza, i progetti, gli aiuti economici. Ma soprattutto attraverso la preghiera che, sola, è capace di alimentare la speranza che è in noi.
Eco di Terrasanta 5/2024
Vie nuove di pace e di riconciliazione
Le stimmate ricevute 800 anni fa sul Monte della Verna per Francesco non sono solo un’esperienza di Dio, ma l’inizio di una nuova passione per la vita, per l’uomo e per il creato. Pur nel dolore, nel cuore si accende un nuovo desiderio.