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Tra Erdogan e Assad, la Russia fatica a mediare

Fulvio Scaglione
26 luglio 2024
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I tentativi del Cremlino di contare diplomaticamente in Medio Oriente possono aprire nuovi scenari, anche se faticano a dare risultati. Grazie ai rapporti che Mosca mantiene con Turchia e Siria (ma anche i grandi antagonisti Israele e Iran).


Il 25 e 26 luglio Vladimir Putin ha accolto al Cremlino il presidente siriano Bashar al-Assad per una serie di colloqui sui rapporti tra Russia e Siria e sulla situazione in Medio Oriente. I due hanno ovviamente sottolineato il quadro drammatico del conflitto tra Israele e i palestinesi, che così spesso si riflette anche sulla Siria, e altrettanto ovviamente hanno esaltato i rapporti tra i due Paesi, in effetti legati da una lunga alleanza, che risale ai tempi di Assad padre e dell’Unione Sovietica.

Il vero focus dell’incontro, però, sono state le nuove prospettive di disgelo tra la Siria di Assad e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan, che all’inizio del mese ha dichiarato di aver invitato il presidente siriano a un vertice trilaterale con Putin, da tenersi in Turchia o in un altro Paese. I rapporti tra Assad ed Erdogan sono tra i più altalenanti che la politica internazionale abbia mai conosciuto. Di grande amicizia un tempo (i due andavano persino in vacanza insieme con le famiglie), di odio mortale dopo le rivolte arabe del 2011 e il tentativo di rivoluzione in Siria, di cauto riavvicinamento negli ultimi mesi.

Putin cerca di mediare tra i due presidenti e i due Paesi rivali almeno dal 2022, ma i suoi successi sono stati, fin qui, modesti. Assad ed Erdogan, peraltro, si rivolgono richieste difficilmente conciliabili. Il siriano vuole che le truppe turche si ritirino dal Nord della Siria e cedano il controllo della provincia siriana di Idlib. Il turco, al contrario, ha insediato il proprio esercito in quell’area per non cedere spazio alle Forze democratiche siriane (Fds), che Ankara considera un braccio armato del Partito curdo dei lavoratori (Pkk), contro cui conduce una guerra pluridecennale e spietata. Il tutto è complicato dal fatto che mentre il Pkk è considerato un movimento terroristico dagli Usa e da molti altri Paesi, le Fds sono alleate preziose della coalizione internazionale a guida Usa che combatte l’Isis, e degli Usa stessi che occupano la parte della Siria più ricca di petrolio.

Per di più, le posizioni di principio di Assad (sovranità territoriale siriana) e di Erdogan (difesa dal terrorismo curdo) si intrecciano con una realtà sul terreno che marcia in senso contrario. La Siria di Assad, se anche la riottenesse, non sarebbe ora in grado di controllare la provincia di Idlib, dove i gruppi armati islamisti sono forti e bene armati. E la Turchia, se anche volesse cedere Idlib, avrebbe grossi problemi a farlo, perché proprio le milizie islamiste, che Erdogan in passato ha finanziato, armato e protetto, si oppongono con tutte le forze. E con gli attacchi contro le postazioni dell’esercito turco delle scorse settimane hanno dimostrato di essere prontissime a ribellarsi agli antichi alleati-padroni.

In questo gran pasticcio, il Cremlino cerca comunque di trovare una formula di compromesso gradita sia ad Assad sia ad Erdogan. Non solo perché il Medio Oriente è stato sempre una preoccupazione primaria di Putin. Non solo perché la Russia ha salvato il regime di Assad con l’intervento militare in Siria nel 2015. Oggi soprattutto perché un successo diplomatico in quel campo costituirebbe un ulteriore scossone alla presenza americana nella regione, già messa a dura prova dall’attivismo della Cina (mediazione tra Arabia Saudita e Iran e mediazione tra Al Fatah e Hamas in campo palestinese), dalla silente ma crescente insofferenza di Paesi come Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, e dal difficile compito di conciliare la politica sanguinaria del premier israeliano Netanyahu con il desiderio di sostenere comunque lo Stato di Israele.

Anche per il Cremlino, però, il rapporto con Israele resta complicato e pieno di sfaccettature. La diplomazia russa ha sposato la condanna delle operazioni israeliane a Gaza, la promozione dello Stato palestinese e della soluzione «due popoli, due Stati», che Israele ha da poco messo «fuorilegge» con un voto parlamentare. Però accetta che le forze aeree di Israele colpiscano spesso in Siria, sia obiettivi siriani sia obiettivi iraniani. Alla Russia basterebbe poco per ovviare: potrebbe mettere in funzione i sistemi antierei S-400 di cui dispone in Siria. Ma non lo fa. A dimostrazione che tiene al rapporto con Israele, anche se sostiene Assad e la Siria e con l’Iran, bestia nera di Netanyahu, sta per firmare un accordo di collaborazione globale che le parti non esitano a definire «storico».

C’è del gran movimento, insomma. Difficile capire, però, quale direzione possa prendere.

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