Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

A Milano e online una mostra a 80 anni dalla deportazione degli ebrei italiani di Rodi e Kos

Giulia Ceccutti
10 luglio 2024
email whatsapp whatsapp facebook twitter versione stampabile
A Milano e <i>online</i> una mostra a 80 anni dalla deportazione degli ebrei italiani di Rodi e Kos
Uno scorcio dell'allestimento sulla deportazione degli ebrei italiani di Rodi al Memoriale della Shoah di Milano. (foto Gianluca Di Ioia/Cdec)

Il 23 luglio 1944, 1.732 ebrei con cittadinanza italiana vennero deportati dalle isole greche di Rodi e Kos, all'epoca possedimenti del Regno d'Italia. Solo 179 scamparono ai campi di sterminio nazista. Un progetto di ricerca della Fondazione Cdec rievoca quegli eventi.


Al Memoriale della Shoah di Milano, fino al prossimo 2 settembre, è in corso la mostra Ebrei di Rodi. Eclissi di una comunità. 1944 – 2024, curata dalla Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea Cdec in collaborazione con la Fondazione Memoriale della Shoah.

L’installazione è stata promossa nell’ottantesimo anniversario della deportazione degli ebrei dai Possedimenti italiani dell’Egeo che ricorre il 23 luglio: una pagina della storia nazionale decisamente poco nota, su cui la mostra getta luce. Aprendo a non poche riflessioni.

La mostra – posta proprio all’ingresso del Memoriale della Shoah, sul lato destro della stazione Centrale – si inserisce in un progetto più ampio, che comprende un portale online in italiano e in inglese, accessibile tutti: è, a un tempo, un monumento digitale permanente e un valido strumento di ricerca e di approfondimento.

Uno dei pannelli della mostra posti all’ingresso del Memoriale della Shoah, alla stazione Centrale di Milano. (foto Gianluca Di Ioia/Cdec)

Abbiamo visitato l’installazione e intervistato le due curatrici, Sara Buda e Daniela Scala, che ci hanno raccontato, con grande competenza e sensibilità, il progetto nel suo complesso.

Una comunità coesa

L’isola di Rodi e le isole del Mar Egeo appartenenti all’Impero Ottomano erano state occupate dal Regno d’Italia nell’aprile-maggio 1912, a seguito della cosiddetta campagna di Libia. Dopo il trattato di Losanna del 24 luglio 1923, con il quale le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale riconobbero formalmente la sovranità italiana, agli abitanti fu concesso di optare tra la cittadinanza turca o quella italiana (chiamata “piccola cittadinanza”). La comunità ebraica – insediatasi nelle isole dopo la cacciata dalla Spagna alla fine del XV secolo – scelse in maggioranza la cittadinanza italiana. Era una comunità «molto coesa», dice Daniela Scala, «legata alla cultura ebraica sefardita e in totale rapporto con le altre comunità presenti, quella turca e greco-ortodossa: l’apertura era totale».

Nel 1931 la comunità ebraica di Rodi e Coo (Kos) contava circa 4.500 membri. Negli anni successivi si ebbe un calo pari a metà della popolazione, dapprima per un’emigrazione di carattere economico, e successivamente a causa delle leggi antiebraiche del 1938.

Una storia italiana

L’11 settembre 1943 il Dodecaneso fu invaso dalle armate tedesche. Il 23 luglio 1944 l’intera comunità ebraica di Rodi fu arrestata e deportata dal porto commerciale dell’isola, stipata in condizioni inumane nelle stive di imbarcazioni per il trasporto animale. Gli ebrei deportati da Rodi furono 1.732. A loro si aggiunsero quelli arrestati nella retata condotta sulla vicina isola di Coo. Iniziò per loro un estenuante viaggio di quasi un mese fino al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. I sopravvissuti alla Shoah furono 179.

La senatrice Liliana Segre durante l’inaugurazione della mostra curata dalla Fondazione Cdec a 80 anni dalla deportazione degli ebrei italiani di Rodi. (foto Gianluca Di Ioia/Cdec)

«Quella che abbiamo voluto rendere manifesta è una storia assolutamente italiana», continua Daniela Scala. «I deportati erano cittadini italiani. Coloro che avevano mantenuto la cittadinanza turca furono salvati e poterono essere liberati».

L’installazione: una “fotografia” del 23 luglio 1944

L’installazione al Memoriale della Shoah evidenzia – in uno spazio ridotto ma dal linguaggio estremamente efficace – le proporzioni, i numeri, le storie dell’«eclissi» della comunità ebraica di Rodi.

Ai pannelli esplicativi iniziali segue un percorso composto da elementi verticali sospesi: tanti fili quanti furono i deportati. Le lunghezze variano secondo l’età raggiunta al 23 luglio 1944. Il visitatore è chiamato a partecipare appendendo a uno dei fili uno dei cartoncini che rappresentano ciascuno dei 1.817 deportati. Su ogni cartoncino (bianco per quanti non sono tornati, verde acqua per i 179 sopravvissuti) sono riportati il nome, la data e il luogo di nascita, il nome del padre e della madre.

 

Nell’allestimento, che si può visitare sino al 2 settembre 2024, ogni filo rappresenta la vita di uno degli ebrei italiani di Rodi che nel 1944 furono deportati nei campi di sterminio nazisti. (foto Gianluca Di Ioia/Cdec)

«La comunità ebraica di Rodi, nel quadro delle deportazioni, rappresenta un caso quasi unico», precisa Daniela Scala, «perché in un solo giorno accadde tutto. Perciò nell’installazione è stata possibile una rappresentazione anche demografica: quasi una fotografia di quello che era la comunità in quel preciso istante, ossia il 23 luglio del 1944».

La visita si conclude con un’ulteriore sosta di riflessione: la visione di alcune interviste ai sopravvissuti e di filmati storici che inseriscono le vicende degli ebrei di Rodi nel quadro della storia d’Italia, del fascismo e delle vicende degli ebrei deportati dal nostro Paese.

Metodo di lavoro e fonti

L’origine del progetto, racconta Sara Buda che si occupa di ricerca storica, risale al novembre 2022. Sulla base di due «spinte»: da un lato, l’avvicinarsi dell’ottantesimo anniversario della deportazione dal Dodecaneso; dall’altro, l’arrivo al Cdec del lascito di Ester Fintz Menascé, figura chiave della trasmissione della memoria della comunità ebraica di Rodi e dei Possedimenti italiani del Dodecaneso.

«Questo anno e mezzo di lavoro», spiega la curatrice, «ha riaperto quindi la ricerca che il Cdec aveva iniziato già alla fine degli anni Settanta. Insieme a Liliana Picciotto, che ha seguito il lavoro a partire da quegli anni, abbiamo perciò riaperto il lavoro sui nomi della deportazione italiana, in parte già pubblicato sulla Digital Library e riaperto la ricerca sulle fonti. Siamo partite dai documenti presenti nel nostro archivio, aggiungendo nuova documentazione giunta grazie al lascito di Ester Fintz Menascé e alla rete di partenariato internazionale».

Le fonti utilizzate, rese pubbliche sul portale, comprendono: documenti fotografici, documenti scritti, interviste audio e audio-video. Finora, di queste ultime, sono state pubblicate online e proposte ai visitatori dell’installazione cinque brevi clip, rappresentative del racconto di cinque persone sopravvissute.

Molteplici prospettive

«Tengo a dire», prosegue Sara Buda, «che abbiamo subito immaginato una restituzione pubblica, perché questa è la storia – ce ne siamo accorte sempre di più, man mano che la studiavamo – di una comunità diffusa. Non c’è un istituto che in qualche modo ne sia “proprietario”: è una vicenda che ha molti aspetti, differenti possibili prospettive di analisi e studio, e soprattutto è bagaglio memoriale di una comunità che è molto viva e molto diffusa. Oggi ha i suoi luoghi principali negli Stati Uniti, in Canada, a Bruxelles, in Israele, oltre che, ovviamente, in Italia».

Ogni filo ha una lunghezza diversa, come la vita di ognuno dei deportati. (foto Gianluca Di Ioia/Cdec)

Di qui la scelta precisa di un portale web, che – oltre a ospitare il Monumento ai deportati – permette, tramite la ricerca avanzata, di incontrare pubblici diversi e di interrogare i dati. Grazie alle schede, poi, è possibile approfondire il vissuto di ogni persona, come ricorda anche Daniela Scala: «Abbiamo cercato di indicare sinteticamente i dati biografici propri di ognuno, in modo che venisse rappresentato l’individuo. Sono quindi riportati i nomi dei genitori, dei familiari, le date di nascita e morte. In più ogni scheda – laddove possibile – è arricchita da tutta la documentazione a noi attualmente nota (fotografie, scritti o videointerviste)».

I documenti, oltre che dall’archivio del Cdec, provengono anche dai diversi partner del progetto, tra cui lo Yad Vashem di Gerusalemme e la Rhodes Jewish Historical Foundation di Los Angeles.

Un legame ininterrotto

Il prossimo passaggio, anticipa Daniela Scala, sarà quello di dotare il portale di approfondimenti per far conoscere le vicende dei deportati ma anche la vita della comunità. Una comunità oggi, come anticipato, sparsa in diversi Paesi, ma che percepisce tuttora come imprescindibile il legame con le proprie radici e con il proprio «essere comunità», come spiega Sara Buda: «Pochissimi fecero stabilmente ritorno a Rodi, ma il legame con l’isola non si è spezzato. Alcuni vi tornano per trascorrervi l’estate, oppure, in questi anni, molti vi fanno ritorno per le tappe fondamentali della vita ebraica: il bar mitzwah e il bat mitzvah, il matrimonio, e via di seguito».

Una ricerca ancora aperta

Il lavoro fatto fin qui, conclude Daniela Scala, segna da un lato un punto di arrivo, dall’altro una ricerca ancora in corso: «È proprio perché capiamo il valore di una ricerca continuamente aperta, che abbiamo predisposto tra le altre cose un pulsante, all’interno del portale, attraverso il quale tutti i visitatori – i discendenti, ma anche chi è venuto in possesso di informazioni su questa storia – possono mettersi direttamente in contatto con noi e aiutarci a implementare la ricerca. Abbiamo già ricevuto, ad esempio, utili segnalazioni di familiari di emigrati dalle isole negli anni Trenta, oltre a ulteriori documentazioni».

Turchia – nuova edizione
Paolo Bizzeti, Sabino Chialà

Turchia – nuova edizione

Chiese e monasteri di tradizione siriaca
Breve storia di Israele
Vincenzo Lopasso

Breve storia di Israele

Da Abramo alle origini della diaspora