Lo scorso 25 giugno i nove giudici dell’Alta Corte di Giustizia israeliana hanno unanimemente sentenziato che lo Stato ebraico non può più esentare dal servizio militare (tutti) i giovani ultraortodossi (haredim) che si dedicano allo studio delle Sacre Scritture nelle scuole rabbiniche (yeshivà).
Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, dice la Corte, e anche quei giovani vanno trattati come gli altri loro coetanei. Soprattutto in una fase di guerra combattuta, come l’attuale, nella quale centinaia di giovani soldati (almeno 320 solo nelle operazioni di terra a Gaza) sono già morti in combattimento dal 7 ottobre 2023 ad oggi.
Le forze armate israeliane – ha stabilito la massima magistratura del Paese – devono procedere immediatamente con l’arruolamento di almeno 3.000 giovani ultraortodossi e intanto lo Stato deve mettere fine al versamento di sovvenzioni alle yeshivà i cui studenti si sottraggono agli obblighi di leva.
Come era ovvio attendersi, migliaia di giovani (e meno giovani) ultraortodossi nei giorni scorsi sono tornati nelle piazze a protestare, anche violentemente, contro la sentenza. Molti di loro non riconoscono neppure la legittimità dello Stato di Israele, come tale.
La questione minaccia anche la compattezza dell’attuale coalizione di governo, che include partiti che sono emanazione più o meno diretta dell’ebraismo religioso ultraortodosso. Alla Knesset (il parlamento unicamerale di Israele) si sta dibattendo da mesi una nuova legge in materia di reclutamento e servizio militare, ma l’iter è irto di ostacoli e insidie. (g.s.)
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