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Beni ecclesiastici in Israele, nuove contese sulla tassazione

Terrasanta.net
25 giugno 2024
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Beni ecclesiastici in Israele, nuove contese sulla tassazione
Un negozio di souvenir nella città vecchia di Gerusalemme. Su edifici adibiti ad attività simili, varie municipalità israeliane chiedono ora di versare le tasse, anche quando si tratta di proprietà ecclesiastiche. (foto Miriam Alster/Flash90)

Come nel 2018, in Israele torna la diatriba tra le Chiese di Terra Santa e varie municipalità riguardo alle tasse sui beni immobili, dalle quali gli ecclesiastici si considerano esentati. Chiamato in causa il primo ministro Netanyahu.


(g.s.) – Non è questa la stagione per attizzare nuovi focolai di polemica in Israele. Ce n’è già più che abbastanza e su svariati fronti. Per questo i capi delle Chiese di Terra Santa avevano preferito non rendere pubblica la loro lettera del 18 giugno scorso al primo ministro Benjamin Netanyahu. Qualcuno ha però fatto filtrare il testo ai media israeliani e la questione è diventata di pubblico dominio.

I firmatari della missiva sono il patriarca greco-ortodosso Theophilos III, il patriarca armeno Nourhan Manougian, il patriarca latino card. Pierbattista Pizzaballa, l’arcivescovo anglicano Hosam E. Naoum e il custode di Terra Santa, fra Francesco Patton. I cinque chiedono al premier di intervenire – come fece, in analoghe circostanze, nel 2018 – riguardo all’Arnona, la tassa che i Comuni incassano sulle proprietà immobiliari. Le Chiese, richiamandosi a un regime di esenzioni di cui beneficiano da secoli – sin dai tempi dell’Impero ottomano – e che lo Stato ebraico non ha mai espressamente revocato, non versano questo tributo e le municipalità non lo reclamano. «Questo – sottolinea la lettera – è un diritto delle Chiese, che esse hanno usato per investire massicciamente in servizi che vanno a beneficio di tutta la società, tra cui scuole costruite e gestite dalle Chiese, asili, ospedali, conventi, chiese, case per anziani e altre varie attività che integrano il lavoro dello Stato stesso».

I comuni tornano a batter cassa…

Di recente vi sono stati dei cambi di linea. In una fase di incertezza per tutti, di assenza di pellegrinaggi dall’estero e di santuari vuoti, lamentano gli ecclesiastici, varie autorità locali «tra cui quelle di Gerusalemme, Tel Aviv-Jaffa, Nazaret e Ramla, hanno inviato a varie Chiese in tutto Israele lettere di diffida tramite avvocati, avviando procedimenti legali nei tribunali contro queste Chiese per presunti debiti fiscali nei confronti dei comuni». Le autorità locali interessate reputano che l’esenzione dall’Arnona sia applicabile solo ai luoghi di culto in senso stretto e non agli edifici utilizzati per altre attività (commerciali o para-commerciali), come case di accoglienza per i pellegrini, ristoranti e negozi di souvenir. Non tassarli, obbiettano le municipalità, comporterebbe una disparità di trattamento rispetto agli imprenditori laici che gestiscono analoghi esercizi, oltre che una significativa perdita di gettito fiscale.

«Riteniamo – obbiettano con veemenza gli ecclesiastici – che questi sforzi rappresentino un attacco coordinato alla presenza cristiana in Terra Santa. Seguiamo con preoccupazione questa campagna contro le Chiese e la comunità cristiana in Terra Santa, che ha raggiunto un livello senza precedenti, trascinando le Chiese in procedimenti legali da nord a sud. Noi rispondiamo facendo valere i nostri diritti storici e legali».

… e i capi delle Chiese si appellano al primo ministro

Nella lettera al primo ministro israeliano, simili azioni vengono definite «tendenziose» e in violazione degli «accordi esistenti e degli impegni internazionali che garantiscono i diritti delle Chiese». Di fatto infrangono «lo status quo che ci ha guidato per anni e contraddicono le sue dichiarazioni del 2018 riguardo alla sospensione delle procedure di riscossione».

Il 27 febbraio 2018 il primo ministro intervenne sul Comune di Gerusalemme che aveva tentato di tassare le proprietà ecclesiastiche non adibite a luoghi di culto, suscitando una protesta ferma dei capi delle Chiese che, per ottenere l’attenzione internazionale, il 25 febbraio si erano spinti fino a decidere la chiusura della basilica del Santo Sepolcro. Oggi la questione si ripropone, ma senza il ricorso a gesti tanto plateali (che del resto avrebbero scarse conseguenze pratiche vista l’assenza pressoché totale di pellegrini).

Una questione irrisolta

Sei anni fa, rammenta la lettera del 18 giugno a Netanyahu, «dopo aver compreso il grave danno derivante alle Chiese e al mondo cristiano, lei prontamente dichiarò la sospensione delle procedure di riscossione e dispose l’istituzione di una commissione, guidata da Tzachi Hanegbi, per formulare una soluzione alla questione dell’Arnona. Ora, contrariamente a quelle dichiarazioni, e soprattutto in questo periodo in cui tutto il mondo, e il mondo cristiano in particolare, segue costantemente gli eventi in Israele, ci troviamo ancora una volta di fronte al tentativo delle autorità di scacciare la presenza cristiana dalla Terra Santa».

Negli ultimi sei anni, in effetti, nulla è stato risolto. La materia è intricata. Lo dimostra il fatto che da tempo non si parla più neppure delle trattative tra Israele e Santa Sede (contemplate dall’Accordo fondamentale di reciproco riconoscimento delle due parti, concluso nel 1993) per la definizione dello status giuridico, fiscale ed economico delle istituzioni cattoliche che operano nello Stato ebraico.

→ Leggi anche: Sono poco meno del 2 per cento i cristiani israeliani

«È scandaloso – prosegue la lettera con toni vibranti – che, proprio in questi momenti delicati e complicati in cui dovrebbero prevalere la pazienza, la compassione, l’unità nelle preghiere e la speranza, i comuni aprano dei tribunali contro le Chiese e facciano minacce. Ciò costituisce un disprezzo dei nostri costumi e di ciò che ci è caro, calpestando il rispetto reciproco che esisteva tra noi fino a questo momento».

Al primo ministro si chiede «di fare ogni passo in suo potere e di esercitare ogni influenza derivante dalla sua carica per mettere in guardia le municipalità di tutto Israele dalle loro azioni e dalle possibili conseguenze».

«Vorremmo che lei comprendesse – dicono in conclusione i firmatari della lettera – che, di fronte a questa realtà, noi leader cristiani non possiamo restare inerti e comportarci come se tutto andasse bene». La missiva viene considerata come un’«ultima possibilità di trovare una risoluzione sostenibile, come promesso nel 2018, per evitare un’altra crisi indesiderata con le Chiese».


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