Da un mese ormai, circa 150 tra bambini e ragazzi rifugiati nella parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza hanno ripreso in mano libri e quaderni. «Questa guerra un giorno finirà e noi saremo pronti a ricominciare» dice il parroco, padre Gabriel Romanelli, sacerdote dell’Istituto del Verbo Incarnato.
Dopo essere rimasto bloccato per sette mesi a Gerusalemme, lo scorso maggio è riuscito a rientrare a Gaza e a raggiungere la sua parrocchia. Il 10 giugno ha dato il via il progetto San Giuseppe, il cui scopo è aiutare i bambini a riprendere contatto con lo studio ma anche dare loro la possibilità di concentrarsi su qualcosa che non sia sempre e solo la guerra.
Così racconta la sua intuizione il missionario argentino: «L’educazione è il nutrimento dell’anima. Innanzi tutto dal punto di vista spirituale: se la vita non è vissuta in unione con Dio, senza la vita della Grazia, le persone sono come morti che camminano, a qualsiasi latitudine. Senza di essa, l’uomo non troverà mai la pace interiore». Accanto a questo, «è importante nutrire l’aspetto intellettuale, il pensiero – continua padre Romanelli –. Dopo otto mesi senza lezioni, senza letture, di cosa parliamo tra noi? Di cosa parlano i ragazzi? Se non ci si nutre di cose buone, interessanti, che parlano del futuro, della scienza, delle lingue, se uno non legge e non studia, l’anima si inaridisce e quindi la vita si inaridisce».
Con il progetto San Giuseppe, padre Romanelli ha cercato di offrire ai giovani «l’opportunità di nutrire la propria anima, intellettualmente e spiritualmente, tenendoli impegnati in attività costruttive, anche se il rumore della guerra fa da sfondo alle loro giornate».
Non si tratta di distrarli, ma di incanalare le loro energie in modo costruttivo. «È bene che i bambini e i ragazzi usino al meglio il tempo. Lasciarli senza studi, senza un ordine, li mette alla prova e a lungo andare crea problemi. Impegnarli nello studio dà loro le basi spirituali ma anche intellettuali, psichiche, per pensare che c’è qualcosa di diverso, che questa guerra un giorno finirà e saremo pronti a ricominciare».
Il progetto ha trovato un riscontro positivo tra i giovani (dai 4 ai 17 anni) ma anche tra gli adulti, che il caldo, la fatica, le condizioni igieniche precarie, gli spazi ristretti, la mancanza di cibo, mettono a dura prova. «Ovviamente non diamo compiti a casa, visto che non hanno nemmeno una casa, ma nonostante questo, i genitori incoraggiano i ragazzi a prepararsi, a essere puntuali. È un seme di speranza».
Circa 40 insegnanti, tutti rifugiati nel recinto della parrocchia latina o di quella ortodossa, si sono resi disponibili su base volontaria per aiutare i ragazzi. Prima della guerra lavoravano sia nelle cinque scuole cristiane presenti a Gaza, sia in alcuni istituti pubblici. «Le scuole non sono operative a causa della guerra – racconta padre Romanelli –. La maggior parte di alunni e professori sono fuggiti, l’anno scolastico è saltato. Con questo progetto vogliamo aiutare chi è rimasto a riprendere in mano le materie fondamentali». Ovviamente, non c’è un programma da seguire e non si rilasciano certificazioni. I ragazzi sono divisi per età e partecipano anche dalla vicina parrocchia ortodossa.
L’organizzazione degli spazi è stata impegnativa, visto che non c’è un angolo vuoto in tutto il complesso parrocchiale. Alla fine sono state create tre “aule” nel cortile, dentro altrettanti gazebo, una in chiesa e quattro nella casa delle suore del Verbo Incarnato: in cucina, in salotto, sul balcone e anche nella cappella… I bambini studiano la mattina, dalle 10 alle 13, a giorni alterni: i giorni dispari i più piccoli e i giorni pari i più grandi. Le materie sono arabo, inglese, matematica e scienze. Religione e catechismo sono tra le attività dell’oratorio – che, grazie alle suore, funziona a pieno ritmo – e si svolgono al pomeriggio.
Padre Romanelli spiega anche perché abbia voluto dedicare questo progetto a san Giuseppe: «Sotto ispirazione di Dio, è lui che ha preso con sé Maria e Gesù e li ha messi in salvo, prima portandoli in Egitto, passando anche da Gaza, e poi al tempo opportuno, li ha riportati a Nazaret. Per questo ci mettiamo sotto la sua protezione e chiediamo la sua intercessione perché aiuti i nostri ragazzi a crescere, nel corpo e nella vita spirituale».
Al momento non è possibile immaginare se e come potrà iniziare un nuovo anno scolastico, ma «l’esperienza di queste lezioni – dice il parroco – ci mostra che c’è la volontà e la forza morale, c’è il desiderio di ricominciare, di trovare soluzioni».
Il tempo in cui realizzare tutto questo, è quello di Dio: «Lui ci aiuterà – confida padre Gabriel –. I tempi della Divina Provvidenza sono perfetti. Da parte nostra, continuiamo a seminare desiderio di pace, di giustizia, di riconciliazione, e a fare del bene a tutti coloro che possiamo, a partire da chi ci è vicino. La cosa di cui abbiamo più bisogno è la pace».
Bombardati i locali di una scuola cattolica
(g.s.) – Domenica 7 luglio è stato bombardato uno stabile di proprietà del Patriarcato latino di Gerusalemme a Gaza. L’edificio, che ospita la scuola della Sacra famiglia, non fa parte del complesso in cui sorgono la chiesa, la canonica e i conventi delle suore, dove da mesi vivono insieme le famiglie cristiane che non hanno voluto lasciare la città capoluogo.
Nella struttura presa di mira erano comunque accampate numerose altre famiglie sfollate. L’agenzia di informazione Wafa, controllata dall’Autorità nazionale palestinese, riferisce che il bombardamento israeliano è avvenuto nel pomeriggio e ha causato 4 vittime civili tra gli sfollati e che le loro spoglie sono state portate all’ospedale Al-Ahli Arab.
Un comunicato diffuso in serata dal portavoce della curia patriarcale si limita a riferire quanto reso noto dai media locali e dice che i raid sono stati «apparentemente lanciati dall’esercito israeliano».
Il Patriarcato latino, nel suo comunicato, «condanna con la massima fermezza l’attacco ai civili o qualsiasi azione belligerante che non riesca a garantire che i civili rimangano fuori dalla scena del combattimento».
«Continuiamo a pregare – conclude il testo – per la misericordia del Signore e speriamo che le parti raggiungano un accordo che ponga immediatamente fine all’orribile bagno di sangue e alla catastrofe umanitaria nella regione».