C’è chi considera ormai imminente un’offensiva su vasta scala delle forze armate israeliane nel sud del Libano, contro le milizie filo-iraniane di Hezbollah. A detta del ministro degli Esteri Israel Katz, «i piani operativi sono stati approvati e convalidati». Non si tratta dell’inizio di una nuova guerra, perché quello tra Israele e le milizie di Hassan Nasrallah è un conflitto già in corso. Semmai si tratterebbe di un secondo fronte caldo dopo quello aperto da Israele otto mesi fa nella Striscia di Gaza, in risposta agli eccidi del 7 ottobre.
Un’escalation di questo tipo avrebbe conseguenze disastrose per il Libano, già indebolito da una pesante crisi interna. Gli episodi in grado di scatenare il conflitto aperto si sono moltiplicati negli scorsi giorni. Prima un attacco israeliano ha colpito un automezzo nel sud del Libano, uccidendo un ufficiale di alto grado di Hezbollah. La risposta del movimento sciita libanese si è concretizzata in una pioggia di missili e scariche di artiglieria sul nord di Israele.
Si prova a raffreddare il fronte
Per cercare di scongiurare una guerra che fino a qualche settimana fa nessuno sembrava credere possibile, il 17 giugno scorso da Washington è volato in Libano l’inviato del presidente Joe Biden, Amos Hochstein. Ma la diplomazia sembra per ora impotente nel risolvere la situazione. Sullo scacchiere libanese è impegnata anche la Francia, con l’incaricato Jean-Yves Le Drian, che ha incontrato nelle scorse settimane anche alcuni leader politici di Hezbollah.
Ma la situazione è, a dir poco, d’impasse. Da una parte, sul versante Hezbollah, c’è l’equazione stabilita dal leader dell’organizzazione Hassan Nasrallah: senza la cessazione delle ostilità a Gaza, nessuno stop ai miliziani in Libano. Naturalmente dietro questa posizione si celano anche gli interessi di Teheran, che ha scelto di cavalcare la parte di paladina della popolazione di Gaza.
Ma Israele è in grado di tenere aperti due fronti contemporaneamente? È uno degli interrogativi cruciali di questo momento. Sul versante israeliano c’è la tentazione di favorire un’escalation per neutralizzare la minaccia delle milizie sciite e del loro imponente arsenale di guerra. Ma una guerra nel sud del Paese dei Cedri (anche se condotta con il consenso della popolazione israeliana del nord, che da mesi vive sotto lo stillicidio dei missili di Hezbollah) avrebbe un impatto ben diverso da quella condotta attualmente a Gaza.
Poi c’è la situazione interna e la posizione a dir poco problematica del premier Benjamin Netanyahu, contro il quale monta la protesta della piazza e il quale sembra spingere con decisione verso il conflitto libanese per procrastinare in questo modo la sua uscita di scena.
Ad alzare la tensione, anche il discorso televisivo di Nasrallah il 19 giugno, durante il quale ha proclamato che «non ci sarà nessun posto al sicuro dai nostri missili e dai nostri droni» nel caso di una guerra più ampia. L’obiettivo immediato sarebbe Cipro, perché avrebbe ospitato in passato militari e caccia israeliani per alcune esercitazioni.
Minacce contro Cipro
Ovviamente la replica europea non si è fatta attendere. «Cipro è uno Stato membro dell’Ue, ogni minaccia a Cipro è una minaccia a tutta l’Unione», ha detto giovedì il portavoce della Commissione europea Peter Stano. «Seguiamo da vicino le tensioni fra Libano e Israele e diamo il benvenuto agli sforzi di Usa e Francia per calmare la situazione: è necessaria la de-escalation e l’Ue è in contatto con i rappresentanti del Libano e altri partner nella regione», ha aggiunto.
La domanda che gli analisti si pongono è questa: cosa vuol ottenere Hezbollah minacciando un Paese dell’Unione europea? C’è l’ipotesi pessimistica: l’isola di Cipro è ad appena 250 chilometri dalle coste libanesi e da decenni è spaccata da un conflitto tra mondi, cristiano bizantino da una parte, musulmano sunnita dall’altro. Dietro l’uno l’Europa e l’Occidente, dietro l’altro la Turchia e chissà chi altri del mondo musulmano. Quale migliore scenario per far deflagrare un’ulteriore crisi? Una prospettiva che obbedisce alle mire dell’Iran, convinto ormai che tanto Israele quanto gli Usa siano ormai in una fase di inarrestabile declino politico e militare.
C’è anche, tuttavia, una lettura meno catastrofica, che ci auguriamo più reale: un ballon d’essai lanciato nell’etere della politica americana di questi tempi, per costringere una volta di più la Casa Bianca a prendere per la collottola Netanyahu e costringerlo a non fare del Libano (e forse dell’intero Medio Oriente) nuova terra bruciata.