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Papa Francesco: La pace in Terra Santa, un compito per tutti

Terrasanta.net
10 giugno 2024
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Papa Francesco: La pace in Terra Santa, un compito per tutti
(foto Shutterstock.com)

A dieci anni dall'invocazione per la pace in Terra Santa che papa Francesco convocò nei giardini vaticani l'8 giugno 2014, il Pontefice torna a pregare e chiedere insistentemente di far cessare la guerra nella regione.


Negli ultimi giorni papa Francesco, dal Vaticano, è tornato in due occasioni sul conflitto in atto in Terra Santa (e nella Striscia di Gaza in particolare).

Ieri, domenica 9 giugno, dopo la preghiera dell’Angelus recitata con i fedeli convenuti in piazza San Pietro il Papa ha voluto menzionare la conferenza internazionale sulla situazione umanitaria a Gaza convocata l’11 giugno sulla sponda giordana del Mar Morto dal sovrano hascemita Abdallah II, dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi e dal segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres. «Mentre li ringrazio per questa importante iniziativa – ha detto il Pontefice –, incoraggio la comunità internazionale ad agire urgentemente, con ogni mezzo, per soccorrere la popolazione di Gaza stremata dalla guerra. Gli aiuti umanitari devono poter arrivare a chi ne ha bisogno, e nessuno lo può impedire».

L’8 giugno di dieci anni fa, in appendice al suo pellegrinaggio in Terra Santa, avvenuto pochi giorni prima, papa Francesco invitava l’allora presidente israeliano, Shimon Peres, e il palestinese, Mahmoud Abbas nei giardini vaticani per invocare insieme la pace. Quell’incontro, che il Papa volle fosse coordinato dal Custode di Terra Santa dell’epoca, fra Pierbattista Pizzaballa, oggi cardinale e patriarca latino di Gerusalemme, «ci testimonia che stringersi la mano è possibile – ha osservato Francesco –, e che per fare la pace ci vuole coraggio, molto più coraggio che per fare la guerra. Pertanto incoraggio i negoziati in corso tra le parti, anche se non sono facili, ed auspico che le proposte di pace, per il cessate-il-fuoco su tutti i fronti e per la liberazione degli ostaggi, vengano subito accettate per il bene dei palestinesi e degli israeliani».

Per dare enfasi all’anniversario e invocare la pace senza stancarsi, papa Francesco ha voluto rivivere in qualche misura quel momento di dieci anni fa al tramonto dello scorso 7 giugno, tornando presso l’ulivo piantato all’epoca nei giardini vaticani dai due presidenti, dal patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I e da lui stesso. L’albero è cresciuto e si è irrobustito, al contrario della pace in Terra Santa.

Attorniato da un gruppo di cardinali e dagli ambasciatori di Israele e Palestina presso la Santa Sede, papa Bergoglio ha detto: «Porto nel cuore tanta gratitudine al Signore per quel giorno, mentre conservo il ricordo di quell’emozionante abbraccio che i due presidenti si scambiarono, anche alla presenza di Sua Santità Bartolomeo I, patriarca ecumenico, e dei rappresentanti delle comunità cristiane, ebraiche e musulmane provenienti da Gerusalemme».

Fare memoria di quell’evento è tanto più importante oggi, «alla luce di quanto purtroppo sta accadendo in Palestina e in Israele» ha soggiunto il Papa. «Tutta questa sofferenza, la brutalità della guerra, le violenze che essa scatena, l’odio che semina anche nelle generazioni future dovrebbero convincerci che «ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato». (Lett. enc. Fratelli tutti, 261).

«In un tempo segnato da tragici conflitti – sottolinea il Papa –, c’è bisogno di un rinnovato impegno per edificare un mondo pacifico. A tutti, credenti e persone di buona volontà, vorrei dire: non smettiamo di sognare la pace e di costruire relazioni di pace! Ogni giorno prego perché questa guerra volga finalmente al termine. Penso a tutti coloro che soffrono, in Israele e in Palestina: ai cristiani, agli ebrei, ai musulmani. Penso a quanto sia urgente che dalle macerie di Gaza si levi finalmente la decisione di fermare le armi e, perciò, chiedo che ci sia un cessate-il-fuoco; penso ai familiari e agli ostaggi israeliani e chiedo che siano liberati il prima possibile; penso alla popolazione palestinese e chiedo che sia protetta e riceva tutti gli aiuti umanitari necessari; penso ai tanti sfollati a causa dei combattimenti, e chiedo che presto le loro case vengano ricostruite perché possano ritornarvi in pace. Penso anche a quei palestinesi e israeliani di buona volontà che, tra le lacrime e le sofferenze, non smettono di attendere nella speranza l’arrivo di un giorno nuovo e si adoperano ad anticipare l’alba di un mondo pacifico in cui tutti i popoli «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, non impareranno più l’arte della guerra» (Isaia 2,4).

Prima di leggere nuovamente le parole di invocazione utilizzate dieci anni orsono, il Papa ha detto: «Tutti dobbiamo lavorare e impegnarci affinché si raggiunga una pace duratura, dove lo Stato di Palestina e lo Stato d’Israele possano vivere l’uno accanto all’altro, abbattendo i muri dell’inimicizia e dell’odio; e tutti dobbiamo avere a cuore Gerusalemme, affinché diventi la città dell’incontro fraterno tra cristiani, ebrei e musulmani, tutelata da uno statuto speciale garantito a livello internazionale. Fratelli e sorelle, oggi siamo qui per invocare la pace. La chiediamo a Dio come dono della sua misericordia. La pace, infatti, non si fa soltanto sugli accordi di carta o sui tavoli dei compromessi umani e politici. Essa nasce da cuori trasformati, sorge quando ciascuno di noi viene raggiunto e toccato dall’amore di Dio, che scioglie i nostri egoismi, frantuma i nostri pregiudizi e ci dona il gusto e la gioia dell’amicizia, della fraternità, della solidarietà reciproca. Non ci può essere pace se prima non lasciamo che Dio stesso disarmi il nostro cuore, per renderlo ospitale, compassionevole e misericordioso. Questi sono gli attributi di Dio: la vicinanza ospitale, la compassione e la misericordia. Dio è vicino, compassionevole e misericordioso».

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