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Afghanistan, i talebani aprono al turismo

Elisa Pinna
7 giugno 2024
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C'è in atto un minuscolo disgelo turistico in Afghanistan. Per ora parliamo di poche migliaia di arrivi all'anno (in gran parte cinesi), che servono ai talebani per cercare di migliorare la propria immagine internazionale. Un percorso accidentato e agrodolce.


L’Hotel Serena, l’unico albergo a cinque stelle di Kabul, ha riaperto di recente il suo centro benessere e il salone massaggi per sole donne, rimasto chiuso da quando gli americani avevano abbandonato nelle mani dei nemici talebani l’Afghanistan, nell’agosto 2021.

Le donne afghane chiuse nei loro burqa e private dei loro diritti fondamentali dal regime islamista, sottoposte a grandi limitazioni nel lavoro, impossibilitate a proseguire gli studi o a viaggiare da sole, non possono nemmeno sognare di accedervi, ma le straniere sì.

È l’ennesimo segnale di corteggiamento che i talebani indirizzano a un turismo internazionale che sta tornando nel Paese più «reietto» del mondo, ma ricco come pochi di paesaggi, di storia e monumenti straordinari. Al di là di tutto ciò, però, l’elemento determinante per invogliare il ritorno degli stranieri è che l’Afghanistan dei giorni nostri, grazie proprio alla repressione e ai controlli capillari messi in atto dai talebani al governo, si presenti ormai come un luogo più sicuro di quanto lo sia stato nei due decenni di occupazione statunitense. Suona quasi come un paradosso della storia il fatto che l’area di Bamiyan sia proposta dal governo di Kabul ai turisti per vedere ciò che rimane dei grandi Buddha scavati, secoli prima, nella roccia e distrutti nel 2001 proprio dal furore islamista talebano.

Il passaparola sul nuovo approccio favorevole al turismo e a una nuova politica di tutela e valorizzazione del patrimonio afghano è circolato comunque con rapidità tra le agenzie di turismo e i viaggiatori indipendenti. Nel 2021, i turisti stranieri erano stati 691; nel 2022, 2.300; nel 2023, 7.000. In maggioranza si tratta di visitatori cinesi, ma anche gli occidentali sono tanti. Parliamo di piccolissimi numeri, ma i talebani mostrano di voler raccogliere la sfida, tanto che hanno aperto una scuola governativa per preparare i futuri professionisti dell’accoglienza. Gli allievi sono tutti uomini, perché le ragazze devono smettere gli studi dopo le elementari. E già questo la dice lunga sui dubbi, gli intoppi e le contraddizioni che accompagnano il ritorno dei turisti in Afghanistan. Il problema più delicato è il rapporto con le donne straniere, date le proibizioni e i codici di abbigliamento imposti alle donne afghane. La legge islamica prescrive che anche le turiste si vestano «con modestia», quindi con il velo in testa e il corpo tutto coperto. Anch’esse non possono circolare da sole, ma sempre con un «guardiano» uomo. Un’altra difficoltà è legata ai visti, dato che l’Emirato islamico dell’Afghanistan (questo il nome del nuovo regime talebano) non ha rapporti diplomatici con alcuna nazione al mondo, anche se intrattiene con i vicini regionali relazioni informali politiche, economiche, commerciali. I permessi si ottengono spesso direttamente ai varchi di frontiera. Le regole cambiano con frequenza ma, tramite internet, i viaggiatori si aggiornano in tempo reale scambiandosi informazioni, impressioni o allerte. Esistono chat su come viaggiare in Afghanistan a cui aderiscono migliaia di membri. Dai racconti, si comprende come l’interazione con i locali sia spesso calorosa e commovente; i talebani, onnipresenti, sono descritti meno rigidi di quel che si pensi. Una giovane fotografa di origini ispaniche, Manon Roca, alcuni giorni fa ha pubblicato su un sito dedicato alla scoperta dell’Afghanistan le immagini e l’itinerario del suo viaggio da donna sola, nonostante i divieti ufficiali: ha indossato sempre un burqa e ha usato mezzi pubblici, passando quasi inosservata ed accettata, senza troppi problemi, negli alberghi locali. La cosa più difficile e dolorosa per un visitatore in Afghanistan, ha tuttavia scritto, è rendersi conto dell’estrema miseria e delle condizioni in cui vive la popolazione locale. «Si riparte con il cuore a pezzi, e la sensazione di lasciare un Paese senza futuro e senza speranza».

Il piccolo disgelo turistico, che serve ai talebani per cercare di migliorare la propria immagine internazionale, si presenta come un percorso accidentato e legato a un filo sottile.

Già lo scorso maggio il filo ha rischiato di spezzarsi. In un attentato terroristico dell’Isis, sono stati uccisi tre spagnoli e tre loro accompagnatori afghani. E’ stato il primo episodio di sangue contro gli stranieri da quando sono al potere i talebani e un campanello di allarme per il sistema di sicurezza creato dal governo di Kabul. I viaggi non si sono però interrotti. Anche dall’Italia c’è chi continua a fare programmi, sperando – senza dirlo troppo ad alta voce – che la spietatezza dei talebani riesca a rendere inoffensivi i sopravvissuti miliziani dell’Isis.

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