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«Ciò che ho visto a Gaza»: la testimonianza del cardinale Pizzaballa

Marie-Armelle Beaulieu
21 maggio 2024
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«Ciò che ho visto a Gaza»: la testimonianza del cardinale Pizzaballa
Il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa, tira le somme della sua visita a Gaza in un incontro con la stampa il 20 maggio 2024 a Gerusalemme. (foto mab/TSM)

Il patriarca latino di Gerusalemme ha raccontato ai giornalisti le sue impressioni ed emozioni dopo la visita a Gaza. Dove, dice, ha trovato una comunità cristiana resiliente e che guarda al futuro, nonostante tutto.


«Resiliente, è una parola che va di moda negli ultimi tempi. Ebbene, posso dire di aver trovato la comunità cristiana di Gaza resiliente». È un uomo sorridente e di buon umore, quello che si è presentato davanti ai giornalisti nel tardo pomeriggio di lunedì 20 maggio per parlare della sua visita a sorpresa a Gaza.

Il patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa soggiunge: «La situazione è molto migliorata rispetto al periodo natalizio». Durante il suo racconto, le circostanze e i dettagli del suo ingresso nella Striscia sono volutamente mantenute sotto riserbo. Pizzaballa esprime un certo sollievo, perché da Natale sino alla fine di marzo, la situazione era catastrofica dal punto di vista alimentare, soprattutto per gli abitanti del nord.
Dopo l’ordine di evacuazione del 13 ottobre scorso, l’esercito israeliano ha impedito ogni forma di rifornimento. Solo a fine febbraio, dietro le pressioni statunitensi, camion di beni di prima necessità hanno finalmente rifornito il capoluogo della Striscia, dove sono rimaste 300mila persone, tra le quali la comunità cristiana. All’inizio di marzo, lanci aerei di viveri e provviste hanno contribuito ad attenuare l’emergenza sul versante alimentare.

Il parroco Gabriel Romanelli e il cardinale Pizzaballa attraversano il cortile della parrocchia di Gaza, mentre i bambini giocano. (foto parrocchia Sacra Famiglia – Gaza)

«Capitemi bene – precisa il patriarca –. La popolazione manca di tutto e la situazione non è buona, ma ora c’è un rifornimento. Il problema che rimane da risolvere è quello della distribuzione, che potrebbe essere meglio organizzata». Il cardinale Pizzaballa precisa che l’assenza di prodotti freschi causa carenze alimentari, ma lo spettro della fame sembra essersi allontanato.

«Quello che manca di più agli sfollati [nella parrocchia cattolica della Sacra Famiglia] è l’intimità», osserva il cardinale, che descrive le aule della scuola attigua alla chiesa trasformate in dormitori con due o tre famiglie in ognuna, a seconda delle dimensioni e parla dell’organizzazione delle attività in gruppi incaricati chi della gestione dell’acqua, chi delle pulizie, chi della legna da ardere per la cucina, collettiva anch’essa. A bruciare sono pezzi di legni «recuperati tra le rovine degli edifici [bombardati], dove i mobili sono andati in frantumi».

Nel complesso della parrocchia «non c’è nemmeno un angolo libero», testimonia il patriarca, i cui occhi sembrano ancora vagare in quell’accampamento di fortuna. Nei locali della scuola e della parrocchia ci sono ancora 500 persone rifugiate. In una certa fase avevano raggiunto quota 700. Nella parrocchia greco-ortodossa di San Porfirio, non lontana, gli sfollati sono 300 – anch’esso in diminuzione. Restano solo 650 cristiani in tutta Gaza contro i 1.017 di prima del 7 ottobre 2023.

18 maggio 2024, il cardinale benedice un panificio di proprietà di cristiani, che ha ripreso la sua produzione. (foto parrocchia Sacra Famiglia – Gaza)

«Ho incontrato e parlato con ogni famiglia», spiega il porporato che è rimasto quattro giorni sul posto. «Sono coraggiosi. Non si arrendono, ma naturalmente si interrogano sul loro futuro, e soprattutto su quello dei loro figli, che hanno appena perso un anno scolastico. Non hanno una parola di risentimento, nemmeno una».

Il patriarca ribadisce la sua ammirazione per la forza che ha riscontrato. «Mi ha colpito che tutti, dai più giovani ai più anziani, vogliono anzitutto la fine della guerra. Hanno detto chiaramente di non comprendere questa violenza che non è nel Dna dei cristiani. Questo mi è piaciuto».
In una dichiarazione resa pubblica dall’ufficio comunicazioni sociali del patriarcato latino, il cardinale ha anche affermato: «Avevo portato con me la promessa di una nuova vita, e sono stato molto sorpreso nel constatare che sono loro ad avermi dato una lezione che non dimenticherò mai: la fede incrollabile di quelle persone, accompagnata da sorrisi rassicuranti, mi ha segnato, e mi segnerà, per tutta la vita».

L’età media della popolazione di Gaza è di 17 anni. Il valore si innalza un po’ se si considera unicamente la comunità cristiana, che conta comunque decine di bambini. Il cardinale ha apprezzato il fatto che le famiglie si proiettino nel futuro a Gaza. «Posso assicurarvi, dopo aver passato del tempo con loro, che molti vogliono restare. Non sono impazienti di partire, nonostante la preoccupazione per il futuro scolastico dei figli. Dobbiamo quindi lavorare per dare una risposta immediata e concreta per assicurare loro che un futuro c’è».

Foto di gruppo. Il patriarca Pizzaballa con le suore e i padri dell’Istituto del Verbo incarnato a Gaza. (foto: parrocchia Sacra Famiglia – Gaza)

Le sfide da affrontare in vista di questo futuro a Gaza sono enormi, a partire da quella delle infrastrutture che sono tutte distrutte. Il patriarca Pizzaballa confida che il viaggio verso la parrocchia si è svolto in silenzio davanti al panorama che si offriva allo sguardo. «Non ho riconosciuto i riferimenti geografici che avevo prima. Nessun edificio è intatto. Le strade sono distrutte. Siamo passati per percorsi improbabili e caotici, in mezzo alle rovine e a cumuli di rifiuti».

I bombardamenti e le esplosioni sono proseguiti anche durante la visita del cardinale, che confessa: «Si sentivano i droni, gli spari e i bombardamenti in continuazione. Devo dire che all’inizio non ero molto a mio agio. A volte, sotto l’effetto delle detonazioni, tutto tremava. Ma ci si abitua. Quanto ai bambini, sembrano non avvertirli più».

La richiesta più urgente espressa dai cristiani è quella del sostegno psicologico. «Sarà necessario rispondere a questa urgenza e rispondere in lingua araba – dice il porporato –. Non so se si possa arrivare a “digerire” questa situazione. Di certo l’impatto sulla popolazione è enorme». Al dispensario della parrocchia, i medicinali più richiesti sono quelli per il trattamento delle irritazioni della pelle dovute alle cattive condizioni igienico-sanitarie e all’acqua contaminata.

Le famiglie sfollate sono accampate in qualche modo nelle aule della scuola parrocchiale. Il patriarca Pizzaballa le ha incontrate una ad una. (foto: parrocchia Sacra Famiglia – Gaza)

Il soggiorno del patriarca Pizzaballa a Gaza è il frutto di lunghi mesi di negoziati «con le autorità che possono dare accesso» al territorio e si è svolto con il concorso dell’Ordine di Malta, con il quale il cardinale ha firmato un protocollo d’intesa, a nome del Patriarcato, volto a fornire cibo vitale e assistenza medica alla popolazione gazese. Il piccolo convoglio del patriarca ha portato con sé dei viveri consegnati alla comunità cristiana e condivisi con i cittadini musulmani del vicinato.

In occasione della visita del patriarca, le Missionarie della Carità (fondate da Madre Teresa di Calcutta) hanno potuto avvicendare due suore, mentre la comunità del Verbo Incarnato ha accolto una suora in più e padre Gabriel Romanelli, il parroco, ha ritrovato la sua gente. Con lui è entrato anche padre Carlos Ferrero, provinciale dello stesso Istituto, che si fermerà per qualche tempo (non sono invece più presenti a Gaza le suore del Rosario – unica congregazione tutta palestinese della Chiesa cattolica –, che in città gestivano una scuola ora pesantemente danneggiata – ndr).

«Che altro posso dire? – si è domandato il cardinale Pizzaballa al termine delle sue considerazioni – Voglio inviare un messaggio chiaro ai responsabili delle decisioni [politico-militari]. Basta con le uccisioni! La guerra deve finire e si devono aprire strade per vari aiuti, per scongiurare un’imminente crisi umanitaria. Spero che questo incubo finisca in fretta».

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