(g.s.) – Questo pomeriggio, 24 maggio 2024, all’Aja (Paesi Bassi) la Corte internazionale di Giustizia è tornata a pronunciarsi sulla guerra in corso nella Striscia di Gaza, imponendo a Israele di adottare nuove misure a tutela della popolazione civile gazese.
Il Tribunale che dirime le controversie tra gli Stati è il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite e si era già espresso, su istanza del Sud Africa, il 26 gennaio e il 28 marzo scorsi, indicando allo Stato ebraico delle misure transitorie e urgenti da adottare e chiedendo l’immediato e incondizionato rilascio degli ostaggi sequestrati il 7 ottobre 2023 nel corso delle azioni terroristiche di Hamas e di altri gruppi palestinesi.
Le nuove misure disposte dalla Corte
Di fronte all’eventualità di una pesante offensiva militare nella città di Rafah, ai confini con l’Egitto, lo scorso 10 maggio il Sud Africa ha chiesto alla Corte di aggiornare le sue precedenti disposizioni.
Oggi la Corte osserva che la situazione si è deteriorata rispetto a gennaio e a marzo e che vi sono elementi di novità che giustificano l’accoglimento dell’istanza sudafricana. Ha così riaffermato gli ordini emessi in precedenza e aggiunto altre misure a cui ottemperare. In particolare, si ordina a Israele di fermare immediatamente l’offensiva militare nel governatorato di Rafah e di astenersi da azioni «che potrebbero infliggere al gruppo palestinese di Gaza condizioni di vita tali da provocarne la distruzione fisica totale o parziale»; «di mantenere aperto il valico di Rafah per garantire la fornitura su larga scala e senza ostacoli dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria urgentemente necessari»; di non impedire l’accesso alla Striscia a commissioni di inchiesta e di indagine su un possibile crimine di genocidio in atto; di presentare entro un mese alla Corte un rapporto sulle azioni adottate per conformarsi a questo nuovo ordine.
I giudici dell’Aja ribadiscono nuovamente la richiesta di un immediato e incondizionato rilascio degli ostaggi e sottolineano che, in punta di diritto, i loro ordini hanno conseguenze giuridiche e obbligano tutti coloro che sono chiamati ad applicarli.
Le precedenti ordinanze
Il caso davanti al collegio di giuristi e magistrati che compongono la Corte internazionale di Giustizia dell’Aja è stato aperto nel dicembre 2023 dal Sud Africa che contesta a Israele violazioni della Convenzione sulla punizione e prevenzione del crimine di genocidio avvenute durante la guerra in corso a Gaza. Adottato il 9 dicembre 1948, il trattato impegna anche lo Stato ebraico che lo ha sottoscritto nel 1949 e ratificato nel 1950 (mentre il Sud Africa vi ha aderito sul finire del 1998).
Perché si giunga a sentenza possono essere necessari anni, ma intanto la Corte può intimare – come ha fatto – che siano adottate misure provvisorie e urgenti per scongiurare che il crimine si configuri nei fatti.
Il 26 gennaio scorso la Corte ha ordinato a Israele di far sì che le sue forze armate non compiano gli atti elencati nell’articolo II della Convenzione e che possono configurare il crimine di genocidio. Azioni, cioè, espressamente volte a: uccidere membri del gruppo (in questo caso i palestinesi); causare gravi lesioni fisiche o mentali ai membri del gruppo; sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica totale o parziale; imporre misure miranti a prevenire le nascite all’interno del gruppo. I giudici hanno anche ravvisato l’obbligo per Israele di prevenire e sanzionare ogni diretto e pubblico incitamento a commettere genocidio nei confronti dei palestinesi della Striscia di Gaza.
La Corte ha disposto poi che Israele provveda ad adottare misure immediate ed efficaci per garantire l’assistenza umanitaria e i servizi fondamentali ai palestinesi nella Striscia. Israele deve altresì conservare ed evitare di distruggere eventuali prove che possano documentare i crimini configurati dalla Convenzione sul genocidio (agli articoli II e III). Infine, i giudici hanno ordinato a Israele di presentare entro un mese una relazione sulle misure adottate per dare applicazione alle loro disposizioni.
Nessun cessate il fuoco
In quella circostanza l’Aja non dispose però il cessate il fuoco, deludendo le attese dei palestinesi.
Il 28 marzo seguente, di nuovo sollecitata dal Sud Africa, la Corte prendeva atto di un peggioramento della situazione, ordinando ad Israele di «adottare tutte le misure necessarie ed efficaci per garantire, senza indugio, in piena collaborazione con le Nazioni Unite, la fornitura su larga scala e senza ostacoli, da parte di tutti gli interessati, dei servizi essenziali e dell’assistenza umanitaria urgentemente necessari inclusi cibo, acqua, elettricità, carburante, alloggio, vestiario, requisiti di igiene e servizi igienico-sanitari, nonché forniture mediche e assistenza medica ai palestinesi in tutta Gaza, anche aumentando la capacità e il numero dei valichi di frontiera terrestri e mantenendoli aperti per tutto il tempo necessario». Il governo di Israele avrebbe dovuto altresì «garantire, con effetto immediato, che i suoi militari non commettano atti che costituiscano una violazione di uno qualsiasi dei diritti dei palestinesi di Gaza in quanto gruppo protetto ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e repressione del crimine di genocidio».