Gerusalemme è per eccellenza la Città del pellegrinaggio. Qui salgono i pellegrini ebrei per pregare in quella che il profeta Isaia chiama la Città Santa (Is 52,1) e che fu sede del primo e del secondo Tempio; qui vengono in pellegrinaggio i musulmani per pregare nella terza più importante città dell’Islam; qui dovrebbero arrivare come pellegrini i cristiani dall’Oriente e dall’Occidente, dal Settentrione e dal Mezzogiorno a compimento della profezia di Gesù (Vangelo di Luca 13,29). Il pellegrinaggio è un atto squisitamente religioso.
Il turista è invece una figura tipica dell’era moderna. Egli viaggia per piacere, curiosità o svago. Il suo viaggio ha un inizio e una fine. Nel suo viaggiare confida nelle sue risorse economiche, potremmo dire che la carta di credito è ciò che gli permette di viaggiare tranquillo e lo smartphone sostituisce ormai la memoria.
Il pellegrino cammina nel mondo e nel tempo sapendo che la meta è altrove: «Si ricorda di Caino che costruì una città, mentre Abele, come se fosse un semplice pellegrino sulla terra, non ne costruì alcuna. Vera città dei Santi è in Paradiso»; qui sulla terra – rimuginava sant’Agostino – i cristiani vagabondano «come in pellegrinaggio nel tempo, cercando il regno dell’eternità» (Z. Bauman, La società dell’incertezza, Il Mulino, 2013, 28/147).
Il pellegrino si muove con un atteggiamento di fiducia fondamentale: in Dio che provvede ai suoi bisogni e anche nelle persone che incontrerà, che saranno lo strumento concreto della divina provvidenza. Oggi è importante riscoprire il valore del pellegrinaggio in quanto tale e in senso stretto, perché troppo spesso il pellegrino si è ibridato col turista e ha prevalso il turista, al punto che la fiducia fondamentale in Dio e nelle persone è stata sostituita dalla fiducia nella carta di credito e nelle polizze assicurative.
È significativo il fatto che in questo momento non ci siano pellegrini cristiani in Terra Santa, perché molte compagnie non sono disposte a stipulare polizze assicurative per chi si dirige verso un territorio considerato pericoloso e a rischio. In un contesto del genere viene fatta confusione anche tra fede, temerarietà e coraggio. Il coraggio è la virtù dell’eroe, che affronta situazioni pericolose perché spera di ottenerne gloria. La temerarietà è piuttosto l’atteggiamento di chi cerca esperienze estreme per provare eccitazione, la cosiddetta «scarica di adrenalina» di chi pratica il turismo estremo. La fede è l’atteggiamento umile di chi sa che la propria vita è sempre e comunque nelle mani di Dio, è l’atteggiamento di chi crede che solo nelle mani di Dio la nostra vita è sicura e questo ci permette di camminare nel tempo senza paura e con lo sguardo rivolto all’eternità.
Il pellegrinaggio è un esercizio prezioso per coltivare questo atteggiamento e per vivere secondo questa prospettiva, che è poi l’unica possibile per un cristiano. In tempo di guerra né gli ebrei né i musulmani hanno smesso di venire a Gerusalemme per compiere il loro pellegrinaggio e per pregare qui «l’altissimo, onnipotente e bon Signore» (San Francesco, Cantico). Solo i cristiani sembrano essere assenti e disertare per paura la Città Santa. Abbiamo forse ormai aderito anche noi a un cristianesimo che ha sostituito la fede con la polizza assicurativa e la carta di credito?
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(L’autore è il padre Custode di Terra Santa)
Terrasanta 3/2024
Il sommario dei temi toccati nel numero di maggio-giugno 2024 di Terrasanta su carta. Al centro, un dossier dedicato allo studio dei graffiti lasciati nel corso dei secoli dai pellegrini sui muri dei maggiori santuari di Terra Santa.
Quando le pietre parlano
Lungo i secoli, molti pellegrini ai Luoghi Santi, dopo un viaggio lungo e periglioso, hanno lasciato graffiti votivo-devozionali su muri e colonne. In questo Dossier raccontiamo dei graffiti presenti al Santo Sepolcro di Gerusalemme e a Betlemme.