Le imponenti sei colonne romane rimaste del santuario di Giove a Baalbek, nella valle della Beqa’, alte 20 metri e con la loro sontuosa trabeazione che si eleva per altri cinque metri, sono tra i monumenti più emblematici del patrimonio culturale del Libano. Sono state anche oggetto di uno dei restauri più importanti tra quelli promossi negli ultimi anni dalla Cooperazione italiana nei siti archeologici del Paese dei cedri.
La storia della cooperazione con il Libano iniziò nel 1983, durante la guerra civile, quando l’Italia contribuì alla costruzione di una stazione di pompaggio per alimentare l’acquedotto di Beirut. Più volte, nelle crisi attraversate in seguito dal Libano, l’Aics (Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo) ha fornito aiuti in settori diversi, come sanità, istruzione e assistenza alle comunità più povere. Quando nel 2006 le forze militari di interposizione dell’Unifil, tra cui il contingente italiano, si schierarono nel Sud del Libano per impedire lo scoppio di un nuovo conflitto con Israele, l’Italia si è attivata anche nella cooperazione civile in forma più strutturata aprendo un ufficio a Beirut. L’impegno è continuato negli anni seguenti che hanno visto l’impatto della guerra siriana, dopo il 2011, e la profonda crisi economica esplosa nel 2019.
Una dimensione dell’aiuto a un Paese in difficoltà è anche la cura del suo patrimonio storico e artistico e in questo l’Italia si è impegnata negli anni in numerosi progetti, con un impegno finanziario complessivo di 18 milioni di euro. I restauri dei templi di Giove e Bacco e del serraglio a Baalbek; i lavori di conservazione e consolidamento del santuario di Apollo e delle colonne del ginnasio nella zona archeologica di Tiro; gli interventi di conservazione nel Castello di Terra a Sidone; il lavoro fatto sulla tomba di Tiro, con i suoi affreschi di epoca romana, oggi conservata nel Museo nazionale di Beirut sono alcuni esempi. E, ancora, il restauro avviato nel 2011 del castello di Chama, nel sud del Paese, una fortezza crociata costruita presso un più antico villaggio bizantino. L’antico castello, per la sua posizione, è ancora significativo del punto di vista militare. Si trovava in una zona di occupazione israeliana tra il 1982 e il 2000 e fu utilizzato come postazione, subendo gravi danni.
Un riconoscimento alla Cooperazione italiana
L’Orient – Le Jour, l’autorevole quotidiano di Beirut in lingua francese, che festeggia quest’anno cento anni di vita (il quotidiano L’Orient fu fondato nel 1924 durante il mandato della Francia) ha dedicato il 22 aprile un inserto speciale, Patrimoine en partage, a questa collaborazione tra Libano e Italia. Una collaborazione con le istituzioni libanesi, in primo luogo, ma spesso anche con le autorità e le popolazioni locali, creando consapevolezza del valore dei monumenti.
Alessandra Piermattei, a capo dell’Aics a Beirut, spiega in un’intervista contenuta nell’inserto l’importanza di questa dimensione della Cooperazione. In passato non era tenuta in considerazione nell’aiuto allo sviluppo, ma è fondamentale in Paesi in guerra o con gravi crisi, perché gli investimenti nella protezione del patrimonio culturale creano reti di relazioni legate ai restauri e alla gestione, favoriscono scambi tra operatori italiani e libanesi a livello di ricerca universitaria, di collaborazione tra collettività territoriali, «tutte con ricadute positive per il Libano, ma anche per l’Italia», aggiunge.
Non è in gioco solo la memoria di una storia millenaria, dai fenici ai romani, dai bizantini agli ottomani. Il Libano è anche il Paese arabo con la più consistente presenza cristiana e la valle di Kadisha, o Valle Santa, è uno dei luoghi più significativi della memoria cristiana libanese, al nord della catena del Monte Libano. In una gola profonda, la valle si sviluppa per circa 35 chilometri in un ambiente naturale con una vegetazione rigogliosa, custodendo alcuni insediamenti monastici di grande bellezza. Un progetto si è preso cura degli eremitaggi sulle pendici della valle, in una collaborazione tra l’Aics e l’Unesco. Il risultato è stato il restauro di Mar Assia, uno dei monasteri rupestri più preziosi, e di Deir el-Salib, ricavato da una grotta a 1.400 metri di altitudine. L’intervento ha riguardato anche la sistemazione dell’antica rete di sentieri lunghi una decina di chilometri, che univa i romitaggi, sentieri che da mezzo secolo erano stati abbandonati. L’ambasciata italiana a Beirut ha realizzato un documentario dedicato alle bellezze storiche e naturalistiche della Valle Santa. (f.p.)
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