i può crescere nella fede sotto le bombe? Suhail Shadi Abu Dawod risponde di sì. Suhail ha 18 anni, ed è nato nella città di Gaza pochi mesi prima che Hamas prendesse il potere. Fin da bambino ha imparato a riconoscere i fischi dei missili e il rumore delle bombe. Ma qui ha anche imparato a conoscere Gesù, nella parrocchia latina della Sacra Famiglia, grazie alla dedizione e alla testimonianza dei sacerdoti dell’Istituto del Verbo incarnato (Ive), delle suore dello stesso istituto, delle suore del Rosario e delle Missionarie della Carità, fondate da Madre Teresa di Calcutta.
In parrocchia, Suhail ha frequentato il catechismo, ha ricevuto i sacramenti e si è formato come chierichetto. La sua vocazione è emersa pian piano, nutrita dalla preghiera, dall’amicizia e dalla vicinanza dei sacerdoti. «Ho iniziato a pensare di unirmi all’Istituto del Verbo incarnato quando avevo 15 anni – racconta – perché è una congregazione di persone semplici e umili, che diffonde in tutto il mondo il messaggio dell’amore, della preghiera del Rosario e della fede».
Dal 7 ottobre, Suhail vive in parrocchia, insieme alla sua famiglia e ad altre centinaia di persone. La casa dove abitava è stata distrutta nei bombardamenti. Quando è scoppiata la guerra, stava aspettando il visto per l’Italia, per iniziare il noviziato, ma è rimasto bloccato: «In quel momento ho provato una profonda tristezza e delusione. Poi ho capito che, anche in questo, Dio stava preparando un dono per me e per la crescita della mia vocazione. È il Suo piano e io confido nella guida di Dio e credo fermamente nella Sua grazia».
Lo scorso 18 marzo scriveva così ai suoi compagni di noviziato: «Per quanto mi riguarda, continuo ad avere fede, pazienza e fiducia nella volontà di Dio e nei Suoi piani per me. Tuttavia, non vedo l’ora di continuare il mio percorso vocazionale in Italia e non so dirvi quanto sia emozionato all’idea di raggiungervi. Prego intensamente e ogni giorno per questa intenzione».
Come i ragazzi della sua età, anche Suhail frequenta i social network. La sua bacheca di Facebook, racconta la vita di una comunità unita e in preghiera, nella buona e nella cattiva sorte, con o senza la luce, col freddo o col caldo, ma sempre lodando e pregando Dio. «Sentirsi benedetti in mezzo alla guerra» o «la fede è più forte della guerra» sono alcune frasi che ha scritto a commento di alcune foto.
«Personalmente – scriveva ancora ai compagni – sto affrontando un momento di grande pressione. Ogni piccola cosa della vita quotidiana, come fare la doccia, richiede un grande sforzo. Una delle cose più dure è l’esperienza della sofferenza e vedere la morte con i nostri occhi. Al tempo stesso, mi sto impegnando a fondo per seguire la mia vocazione e fare passi nella vita spirituale».
In questi mesi, Suhail ha continuato a nutrire la sua fede con la preghiera quotidiana e il servizio alla comunità. «La mia fede sta crescendo in mezzo alle sfide della guerra, attraverso la preghiera, la lettura delle vite dei santi, il servizio nella casa delle suore di Madre Teresa e, soprattutto, meditando ogni domenica davanti al Santissimo Sacramento. Gesù, è la fonte della mia fede, il fondamento su cui pongo tutta la mia fiducia».
Il giorno di Pasqua era il 180.mo dall’inizio della guerra. Anche la parola «risurrezione», a Gaza, ha assunto una densità particolare. Così, ancora, Suhail ai compagni di noviziato: «Il nostro Re, Gesù, è risorto e ha spezzato i legami della morte! In questi mesi di guerra i nostri cuori si sono riempiti di tristezza, delusione e sofferenza, come il cuore della Vergine Maria sotto la croce di Gesù. Ma Lei è rimasta salda e la sua fede forte, perché era sicura che suo Figlio avrebbe vinto sulla morte. Dobbiamo essere come la Vergine Maria! Dobbiamo confidare in Dio che supereremo presto questa guerra con amore, pace e speranza, perché la speranza e la fede sono più forti di qualsiasi guerra».
Eco di Terrasanta 3/2024
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