Mentre compare all’orizzonte della politica europea il concetto di «remigrazione», cioè piani di partiti di estrema destra (specialmente in Germania e Austria) per l’espulsione di massa delle persone immigrate, e mentre l’Unione europea, con l’Italia in prima fila, replica in Egitto e in Tunisia lo schema, già adottato con la Turchia, di finanziare il controllo esterno dei flussi di migranti che non possono avere un visto di ingresso, un nuovo libro ripercorre un intero secolo di migrazioni illegali in Europa. Questo ponderoso lavoro di Gabriele Del Grande non è un pamphlet legato all’attualità, una denuncia – come tante, puntuali – dell’ultima strage nel Mediterraneo. Offre molto di più: una ricostruzione storica del rapporto tra l’Europa e lo «straniero», per capire dove siamo arrivati.
Da anni siamo immersi in un clima mediatico, diventato culturale, per cui forze incontrollate premono da Sud per entrare nel Vecchio continente. Così il ricorso alla parola «emergenza» è diventato grottesco, quando non si riesce a vedere la natura strutturale dei movimenti migratori: viviamo in un mondo in movimento. Ma il fenomeno, che ha plasmato le società europee in un tempo lungo un secolo, arriva alla pubblica opinione quasi soltanto dalle notizie tragiche di cronaca, morti nel Mediterraneo, respingimenti, strumentalizzazioni politiche.
Il saggio compie un necessario passo in avanti. Contestualizza le migrazioni illegali raccontandole nel loro dispiegarsi nei decenni, dalla fine della Prima guerra mondiale ad oggi, intrecciate ai grandi eventi storici. Ne emerge un rapporto irrisolto che gli Stati europei hanno continuato ad avere con i popoli delle ex colonie. Che si sia trattato di soldati indiani o africani arruolati negli eserciti europei, portati a combattere nelle trincee della Grande guerra; di operai turchi o maghrebini «importati» per ricostruire il continente dopo la Seconda guerra mondiale e impiegati nel boom economico; di persone in fuga da conflitti e persecuzioni per cui il diritto di asilo, in linea teorica, si è sempre più esteso: nelle società occidentali si sono inseriti milioni di cittadini non bianchi.
Tali processi non sono stati lineari e Del Grande ne ricostruisce i passaggi principali in un grande quadro. Dedica oltre 400 pagine, molto documentate, all’intreccio tra eventi storici e movimenti umani che hanno coinvolto l’Europa contemporanea. Descrive come gli Stati – Francia, Germania e Gran Bretagna in primis – hanno accolto e respinto, ciascuno a suo modo, persone di etnie, culture e religioni diverse. Queste trasformazioni si sono misurate, nel caso della Francia, con il trauma della guerra di indipendenza dell’Algeria; in Gran Bretagna con i processi di decolonizzazione e dissoluzione dell’impero; in Germania con l’idea di avere «lavoratori ospiti» a tempo determinato. Ma anche Belgio, Paesi Bassi, Stati scandinavi sono stati mete privilegiate dei movimenti migratori; poi è toccato agli Stati mediterranei e, infine, alle democrazie nate per ultime nei Paesi liberati dal dominio sovietico. A mano a mano che l’Unione europea si amplia ed estende con Schengen le libertà di circolazione delle persone al suo interno, eleva muri ai suoi confini, di terra e di mare.
Come giornalista indipendente, Del Grande si è occupato per oltre un decennio di migrazioni, ha viaggiato nei Paesi di provenienza dei rifugiati, ha studiato i fenomeni sociali, i conflitti, il terrorismo. Dal 2006 con il blog Fortress Europe è stato tra i primi a mantenere uno sguardo vigile sulle tragedie nel Mediterraneo. Nel 2010 ha ricevuto il Premio giornalistico Archivio Disarmo – Colombe d’Oro per la Pace. Nel 2017 è stato detenuto dalla polizia turca al confine con la Siria mentre realizzava un lavoro con i profughi. «Oggi non esiste un paese in tutto il pianeta che non abbia fatto i conti con la mobilità degli esseri umani nel villaggio globale», scrive. Le grandi crisi internazionali, le guerre civili, la redistribuzione diseguale della ricchezza nei processi di globalizzazione portano molti a cercare di superare le frontiere.
Il saggio allarga la prospettiva anche ad altri continenti: le lotte contro la segregazione razziale nel Sud degli Stati Uniti negli anni Sessanta; i profughi «boat people» in fuga dal Vietnam negli anni Settanta; la guerra in Afghanistan negli anni Ottanta, con i sovietici e i combattenti islamici sui fronti opposti, fucina di infiniti disastri del radicalismo jihadista a venire; le guerre della ex-Jugoslavia negli anni Novanta; le conseguenze dell’11 settembre 2001 nel primo decennio del nuovo secolo. Ma è sull’Europa e il Mediterraneo – che è la sua più lunga frontiera con le povertà, i conflitti e il dinamismo demografico dell’Africa e del Medio Oriente – che si concentra il volume.
L’Italia protesa nel mare, e che aderisce al trattato di Schengen, vive tutte queste trasformazioni, terra di mezzo tra l’Est europeo che si libera nel 1989 e l’Ovest delle promesse di libertà e benessere; tra il Sud mediterraneo e l’Europa delle opportunità. La legislazione italiana che cerca di regolare l’immigrazione straniera, sia con governi di destra che di sinistra, è condizionata in ogni fase da questi fattori. Le politiche di chiusura verso i ceti popolari non bianchi risalgano agli anni Novanta, quando l’Italia inizia la sua storia di Paese di immigrazione. L’appartenenza alla Ue fa sì che le politiche migratorie siano sempre di più, nel bene e nel male, a livello europeo. Siamo avamposto geografico e parte di un sistema europeo che si fa paladino dei diritti umani e allo stesso tempo li nega.
Nella parte finale del libro, Del Grande snocciola dati e analisi sulla realtà migratoria oggi, mettendo a nudo le ipocrisie delle barriere continuamente erette per impedire non tanto le migrazioni di «extracomunitari», quanto l’arrivo sicuro dei lavoratori e familiari poveri da alcune specifiche aree. Terrorizzati dall’idea di un’invasione, dai conflitti mediorientali e sub-sahariani, dal boom demografico africano e dall’incubo del terrorismo, «porre fine al divieto di viaggio dei ceti popolari non bianchi mette in crisi anche i più progressisti tra noi». Avere lasciato annegare nel Mediterraneo circa cinquantamila persone, impossibilitate a entrare in Europa con un volo aereo e un documento legale, non ha fermato i flussi. Sappiamo che milioni di altri stranieri si sono trasferiti in Europa negli anni, senza dovere affrontare la rotta balcanica o i lager libici.
Le conclusioni dell’autore non sono di rassegnazione a uno stravolgimento delle nostre società, ma un richiamo all’umanità e alla coerenza con i valori fondamentali. L’esperienza storica mostra che la libertà di movimento regolamentata è possibile e, in futuro, necessaria. «Il regime razziale e classista dei visti – osserva, però – non è che l’ultima forma di segregazione legalizzata ancora in essere nel mondo moderno. Il problema è che l’abbiamo talmente introiettata da non vederla più».
Gabriele Del Grande
Il secolo mobile
Storia dell’immigrazione illegale in Europa
Mondadori, 2023
pp. 624 – 25,00 euro