Ieri l'altro, in un solo giorno, in Arabia Saudita sono state eseguite 7 condanne a morte. Da inizio anno sono già 31 i giustiziati. Le sentenze capitali vengono comminate con scarsa trasparenza, eppure pochi nel mondo si stracciano le vesti.
Mentre i media occidentali sono impegnati a giustificare la strage di Gaza e quelli russi a trovare scuse per la morte in carcere di Aleksej Navalny, l’Arabia Saudita (che è buona amica sia degli occidentali sia dei russi), forse approfittando della distrazione generale, lo scorso 27 febbraio ha giustiziato in un solo giorno sette persone, portando così a 31 (o a 29, secondo alcune fonti – ndr) il totale del 2024. È stato il giorno più nero per le condanne a morte, nel Paese, dall’11 marzo dell’anno scorso, quando ne furono eseguite 81. Per la cronaca, nel 2023 le persone messe a morte sono state 172, dato che ha posto l’Arabia Saudita al terzo posto nella classifica della morte di Stato dopo Cina e Iran.
La Corte criminale speciale saudita ha definito i giustiziati «terroristi» che cercavano di «tradire la patria e minare la sua stabilità e sicurezza». In realtà dei loro casi giudiziari non si sa nulla, perché gli arresti, i processi e le esecuzioni sono stati eseguiti, come di norma, nel più completo segreto. La European Saudi Organization for Human Rights, peraltro, che segue da vicino le vicende giudiziarie saudite, fa notare di aver avuto notizia dei processi che prevedevano la pena di morte solo nel 3 per cento dei casi. E si dice convinta che i presunti «terroristi» altro non erano che critici più o meno dichiarati delle politiche del principe Mohammed bin Salman. Il tutto peraltro è successo pochi giorni prima che nella capitale Riyadh si svolga Leap, la grande rassegna mondiale delle nuove tecnologie, e a Jeddah il gran premio di Formula Uno.
Il senso di totale impunità che l’Arabia Saudita esibisce in circostanze come questa non è nuovo. Quella che è nuova, invece, è la situazione internazionale. La Russia ha bisogno della collaborazione saudita (cioè dei leader dell’Opec+, l’organizzazione dei produttori) per conservare le sue posizioni sul mercato del petrolio, minacciate dalle sanzioni. Gli Usa non possono irritare Riyadh, che avrebbe siglato un importante accordo con Israele se non fosse intervenuto l’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre scorso e la spedizione militare israeliana ancora in corso nella Striscia di Gaza. La Cina – a parte il fatto che quanto ad esecuzioni non si risparmia – ha appena mediato il disgelo tra Arabia Saudita e Iran ed è troppo interessata a inserirsi in Medio Oriente per scontrarsi con i sauditi. I Paesi europei cercano nel Golfo Persico rifornimenti energetici e soldi freschi per investimenti. In più, l’Arabia Saudita è appena entrata nei Brics, e quindi anche da quel lato non arriverà nulla.
Tutto questo per dire che a differenza di Navalny e di Julian Assange, le centinaia di sauditi che vanno al patibolo non troveranno alcun paladino, nessuno farà manifestazioni per loro né firmerà appelli. I politici non mostreranno sdegno e nei dibattiti televisivi non se ne parlerà. Fine.