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Striscia di Gaza, devastato dalla guerra il patrimonio culturale

Giuseppe Caffulli
23 febbraio 2024
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Striscia di Gaza, devastato dalla guerra il patrimonio culturale
In uno scatto del 2011, arheologi palestinesi al lavoro su vestigia d'epoca greco-romana nei pressi di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. (foto Abed Rahim Khatib/Flash 90)

Gli studiosi impegnati nella difesa del patrimonio storico, culturale e architettonico gazese non riescono a tenere il passo con le conseguenze della guerra che infuria da cinque mesi. La denuncia in un articolo pubblicato dalla testata elettronica +972.


«Dall’inizio dei bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza, innumerevoli tesori del patrimonio culturale palestinese sono stati danneggiati o distrutti. Questi inestimabili e amati monumenti della storia del nostro popolo – siti archeologici, strutture religiose millenarie e musei con antiche collezioni – ora giacciono in rovina».

Inizia con questa considerazione un lungo e circostanziato articolo pubblicato il 17 febbraio scorso da +972Magazine a firma di Ibtisam Mahdi, giornalista freelance di Gaza specializzata in tematiche sociali e culturali, che prende in considerazione i danni incommensurabili che la guerra dentro Gaza sta provocando al patrimonio palestinese.

«Una componente essenziale dell’identità di una nazione – spiega la giornalista con parole indubbiamente forti – che ha un enorme significato simbolico, riconosciuto e protetto da innumerevoli convenzioni, trattati e organismi internazionali. Eppure, il martellamento di Gaza da parte di Israele, giunto ormai al quinto mese, mostra un insensibile disprezzo per queste testimonianze della millenaria storia culturale di Gaza, a tal punto che si potrebbe parlare di un “genocidio culturale”».

→ Leggi anche: A rischio i reperti archeologici della missione francese a Gaza

Gli studiosi impegnati nella difesa del patrimonio gazese non riescono a tenere il passo con le conseguenze della guerra sul campo. «Mentre la perdita di vite umane è la più grande tragedia di qualsiasi guerra, la distruzione da parte di Israele del patrimonio culturale di Gaza si propone più o meno lo stesso obiettivo: la cancellazione del popolo palestinese». Un obiettivo che, andando a toccare moschee, chiese e monumenti storici, impedirà anche una prossima rinascita economica a partire dal comparto turistico. La ragione è che, in una terra che da sempre è stata crocevia di popoli e di culture, non resterà più nulla da vedere e da conoscere.

Quali sono allora, alcuni esempi di questa devastazione?

Ismail al-Ghoul è un fotografo che risiede a Gaza City e lavora per Al Jazeera. Il suo obiettivo ha documentato, per esempio, la distruzione della chiesa bizantina, antica di 1.600 anni, nel distretto di Jabalia. Tra i siti cristiani a rischio, la chiesa greco-ortodossa di San Porfirio, che risale al 425 d.C., seriamente danneggiata. Anche il santuario di Al-Khader nella città di Deir al-Balah è lesionato. Si tratta più antico monastero cristiano costruito in Palestina. Anche il monastero di Sant’Ilarione a Tell Umm el-Amr vicino a Deir al-Balah, che risale a più di 1.600 anni fa, ha subito danni.

Oltre ai siti cristiani, gravi lesioni hanno subito luoghi simbolo dell’architettura islamica, sia religiosa che civile. Tra questi l’Hammam al-Sammara, un secolare bagno turco nel quartiere di Zeitoun; il Khan di Amir Younis al-Nawruzi, un forte storico costruito nel 1387 nel centro della città meridionale di Khan Younis; la Casa Al-Ghussein di Gaza City, un edificio storico risalente al tardo periodo ottomano. Non va tralasciato Qasr al-Basha (Palazzo del Pascià) del XIII secolo, che si distingueva per la notevole conservazione dei suoi dettagli architettonici, abbattuto dai bombardamenti israeliani.

Ad aver subito gravi danni c’è anche la Grande Moschea Omari, la più antica nel nord di Gaza. L’intera struttura è stata distrutta, tranne un solo minareto. Originariamente tempio pagano, fu una chiesa bizantina prima di diventare moschea in seguito all’espansione dell’Islam. Anche la moschea Sayyed Hashim di Gaza City, nota per ospitare, secondo la tradizione, la tomba di Hashim ibn Abd Manaf, il nonno del profeta Maometto, è stata gravemente danneggiata.

Oltre agli edifici religiosi, i bombardamenti hanno colpito i pochi luoghi della memoria ancora in funzione: il Museo di Rafah, nel sud della Striscia, è stato completamente distrutto. E ancora il Museo Al Qarara vicino a Khan Younis, che custodiva una collezione di circa 3mila manufatti del tempo dei cananei (II secolo a.C.); il Museo Khoudary, noto anche come Mat’haf al-Funduq (Museum Hotel) nel nord di Gaza, che ospitava migliaia di pezzi archeologici unici, alcuni risalenti ai periodi cananeo e greco.

La ragione di questo accanimento? Haneen Al-Amassi, archeologo e ricercatore, direttore della Fondazione Eyes on Heritage – intervistato nell’articolo – non ha dubbi: «I siti archeologici sono prove fisiche e tangibili che attestano il diritto dei palestinesi alla terra di Palestina e la loro esistenza storica su di essa, dall’età della pietra ai giorni nostri. La distruzione di questi siti nella Striscia di Gaza in modo così brutale e sistematico è un tentativo disperato da parte dell’esercito di occupazione di cancellare le prove del diritto del popolo palestinese alla propria terra».

L’Euro-Med Human Rights Monitor, con sede a Ginevra, ha accusato Israele di «prendere di mira chiaramente e intenzionalmente tutte le strutture storiche della Striscia di Gaza». Il ministero del Turismo e delle Antichità di Gaza ha denunciato in un comunicato stampa di fine dicembre il «deliberato attacco contro i siti storici e archeologici nella città vecchia di Gaza»

Sarà difficile se non impossibile restaurare questo patrimonio, che è continuamente sottoposto ad azioni militari. Il tutto, rimarca l’autrice del testo, «con il vergognoso silenzio degli attori internazionali. Tutta la storia di Gaza e la sua santità sono sull’orlo del collasso».

Una perdita non solo per i palestinesi di Gaza, ma per l’umanità intera, che sembra assistere a questo ulteriore scempio (oltre a quello della perdita di vite umane) senza considerarne le conseguenze.

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