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Le detenute palestinesi liberate: Il carcere non ci piega

Manuela Borraccino
7 dicembre 2023
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Tra i 240 detenuti palestinesi rilasciati a fine novembre da Israele in cambio di 105 ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre scorso c'erano anche tre minorenni e 68 donne. Molte di loro hanno raccontato ai media le condizioni durissime della carcerazione.


«Siamo più forti dell’occupazione e continueremo a resistere» ha detto ai giornalisti Ahed Tamimi subito dopo il rilascio dalle carceri israeliane avvenuto il 30 novembre scorso. Originaria del villaggio di Nabi Saleh in Cisgiordania, 22 anni, figlia di un ex membro del partito Fatah e studentessa di Giurisprudenza all’Università di Bir Zeit, Ahed è forse la più nota delle 68 prigioniere maggiorenni su 240 detenuti liberati da Israele in cambio di 105 ostaggi che erano nelle mani delle milizie palestinesi nella Striscia di Gaza. «Le condizioni in carcere – denuncia Tamimi – sono durissime: le celle sono sovraffollate, alcune di noi dormivano per terra. Non avevamo neppure la carta igienica, assorbenti, matite, fogli». L’attivista, assurta a simbolo della resistenza palestinese dopo la condanna a otto mesi nel 2018 per aver schiaffeggiato un soldato israeliano, era stata nuovamente arrestata un mese fa dopo un post contro i coloni ebrei, dalle espressioni molto crude, pubblicato su un profilo Instagram con il suo nome. Le autorità israeliane non hanno voluto sentire ragioni sul fatto che ci sono decine di falsi account sui social network intestati alla ragazza. Ahed Tamimi lo ha ribadito in questi giorni: «Le donne sono molto forti e il carcere non fa che rafforzare la nostra volontà».

A due mesi dal pogrom di Hamas ci sono oltre 16mila vittime dei bombardamenti a Gaza, secondo le Nazioni Unite, e 137 ostaggi israeliani (fra i quali 17 donne e bambini) che restano in mano ai miliziani.

Intanto assumono contorni sempre più raccapriccianti le dimensioni degli stupri perpetrati dagli uomini di Hamas (ed altri) il 7 ottobre. Lo testimoniano i materiali che va raccogliendo la Commissione (non governativa) d’inchiesta formata da 15 giuristi ed esperti per documentare gli stupri e le violenze commessi il 7 ottobre. La sua presidente, Cochav Elkayam-Levy, chiede che le organizzazioni femministe affiliate all’Onu, in primis UN Women e il Comitato Cedaw, «si sveglino dal torpore» e che le violenze perpetrate quel giorno da Hamas contro donne e bambini siano riconosciuti come «crimini contro l’umanità». Un appello fatto proprio dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden in un discorso pronunciato il 5 dicembre ad un evento di raccolta fondi a Boston.

Anche in questa guerra non sembra esserci fine alla sofferenza dei membri più vulnerabili dei due popoli. Chi sono e di che cosa erano accusati le prigioniere e i minorenni palestinesi liberati? Tra i 240 c’erano 104 ragazzi e 3 ragazze minorenni di 16 e 17 anni, 65 uomini e 68 donne adulte secondo un’analisi dei dati del New York Times sulle informazioni diffuse dall’amministrazione penitenziaria israeliana incrociate con quelle delle associazioni palestinesi. I tre quarti di loro si trovavano in detenzione amministrativa o preventiva ovvero senza capi di imputazione, senza convalida del fermo e senza processo; la maggior parte era in carcere da meno di un anno e 37 di loro erano stati arrestati dopo il 7 ottobre. Fra i 240 erano 155 quelli provenienti dalla Cisgiordania, 72 da Gerusalemme est, 7 da Gaza e gli altri cittadini arabi israeliani, che generalmente non sono inclusi in questo tipo di scambi. Tra i nomi della lista aggiornata da Israele restano altri 110 palestinesi per un eventuale nuovo scambio in un’altra tregua: 12 sono donne, 15 sono ragazzi minorenni e gli altri sono ragazzi di 18 e 19 anni.

Non si vede una nuova tregua all’orizzonte e intanto la lista dei palestinesi incarcerati senza capi d’accusa continua ogni giorno ad allungarsi. Secondo le organizzazioni per i diritti umani israeliane e palestinesi circa 3.000 persone, in gran parte ancora una volta giovanissime, sono state arrestate dopo il 7 ottobre.

Sono diventati virali intanto i video delle interviste ad alcuni fra i detenuti liberati, rilasciate nonostante il divieto delle autorità israeliane di parlare con i media. I loro racconti (raccolti, in particolare, da media arabi come Al Jazeera) gettano una luce se possibile ancora più sinistra sulla drammaticità della condizione carceraria in Israele che non risparmia neppure le donne: abusi, deprivazioni, maltrattamenti sono aumentati dopo l’attacco di Hamas.

La 24enne Marah Bakeer, la prima ad esser stata liberata martedì 28 dopo una condanna di otto anni, ha raccontato di esser stata trasferita dopo il 7 ottobre dal carcere di Damon a quello di Jalame, dove è stata posta in isolamento. Un’ulteriore deprivazione per lei e per le compagne, visto che negli anni scorsi era diventata a Damon rappresentante delle detenute.

La giornalista Lama Khater, rilasciata mercoledì 29 novembre e che ha già scontato diverse detenzioni per le sue denunce sui media palestinesi sugli abusi dell’occupazione, ha confermato le indiscrezioni di stampa secondo le quali almeno dieci donne di Gaza sarebbero state fermate dall’esercito israeliano mentre si spostavano con i loro bambini verso il sud della Striscia, bendate e portate nel carcere di Damon dove sono rinchiusi donne e minorenni.

Quel che è certo è che il valore della fermezza incrollabile di fronte all’ingiustizia dell’occupazione o sumud, resistenza in arabo, è centrale nella società palestinese. Sembra forgiare la tempra di queste giovani donne, come dimostrano le parole della 27enne Walaa Khaled Fawzy Tanji: «Abbiamo il diritto di difenderci dall’occupazione e il diritto di vivere liberi » ha detto la ragazza, studentessa di Scienze politiche all’università di Bir Zeit, già protagonista di un pluripremiato documentario canadese del 2018 sul suo sogno di entrare nella Polizia palestinese.

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