Allarma, giustamente, la crescita dell'antisemitismo. Poco ci si occupa però, almeno a livello di informazione di massa, del fenomeno speculare: l’islamofobia, che negli ultimi anni alligna in quasi tutti i Paesi dell’Occidente.
L’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, la reazione israeliana ancora in corso e le massicce manifestazioni di solidarietà con il popolo palestinese hanno fatto scattare in tutta Europa l’allarme antisemitismo. Ed è giusto che sia così, perché i segnali non sono mancati e perché la Shoah, ovvero lo sterminio programmato e meticolosamente pianificato degli ebrei, è stata una tragedia tutta europea. Fatto di cui è necessario avere ferma memoria.
Poco ci si occupa, almeno a livello di informazione di massa, del fenomeno opposto, ovvero dell’islamofobia, che negli ultimi anni è andato crescendo in quasi tutti i Paesi dell’Occidente, come testimoniato da una lunga serie di ricerche, per esempio quella dell’Osmed – Osservatorio sul Mediterraneo. I musulmani rappresentano ormai il 5 per cento dell’intera popolazione dell’Unione europea e circa il 6 per cento di quella dell’Europa continentale, esclusi tutti coloro che risiedono in Europa come rifugiati o richiedenti asilo. E tutti i demografi considerano il 5 per cento una soglia critica, oltre la quale in qualunque società può scattare un sentimento di rigetto nei confronti di un «altro» di recente arrivo. In più, c’è stata la lunga e sanguinosa stagione dell’Isis e del terrorismo islamista, che hanno colpito spesso e crudelmente anche in Europa, a peggiorare l’immagine del mondo islamico.
Tutto questo, però, potrebbe essere detto a rovescio anche per quanto riguarda i Paesi islamici e l’Occidente: siamo presenti quasi ovunque con basi militari, attività industriali e minerarie, e abbiano condotto guerre distruttive in diversi Paesi musulmani, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Siria alla Libia. Eppure non si registra una pari diffidenza, e anche questo è testimoniato da molte ricerche, per esempio quella di TrueNumbers.
Torniamo però alla stretta attualità. Il Council on American-Islamic Relations (Cair) nel mese successivo al 7 ottobre (il giorno dei massicci attacchi di Hamas contro Israele) ha ricevuto 1.283 denunce di atti violenti o aggressivi contro musulmani, con un aumento del 216 per cento rispetto a un mese “medio” del 2022. Atti che si sono verificati in tutti gli strati della società statunitense, dall’uomo della strada durante una manifestazione al professionista dei quartieri borghesi. Certo, l’assalto terroristico di Hamas è stato orribile. Ma non basta a spiegare questo picco di aggressività nei confronti di una minoranza etnico-religiosa. Provo qui ad avanzare un complemento di spiegazione.
L’atteggiamento generale del sistema mediatico occidentale è stato di promuovere un’uguaglianza tra Hamas (e il terrorismo) e i palestinesi tutti, all’insegna del folle ragionamento «se non si ribellano sono complici». Sillogismo demenziale che viene applicato anche ai russi ma, per esempio e per fortuna, non ai molti altri casi possibili: se i cittadini dell’Arabia Saudita non si ribellano a Mohammed bin Salman sono tutti complici delle sue azioni, se i cittadini dell’Eritrea non si ribellano a Afewerki sono tutti suoi complici, se i cittadini del Myanmar non si ribellano alla giunta militare sono tutti complici e così via. Si potrebbe chiedersi: i cittadini italiani che non si ribellavano al fascismo erano tutti complici del regime? Sarebbe quindi stato legittimo decimarli come avviene ora per la popolazione di Gaza?
Questa spinta potrebbe essere, con molte altre considerazioni, alla radice della nuova ondata di aggressività islamofobica. E potrebbe, di nuovo insieme con molte altre considerazioni che prescindono dalla stretta attualità, essere anche una delle cause della nuova ondata di antisemitismo. O comunque servirle da comoda giustificazione. Perché se tutti i palestinesi sono complici di Hamas, a qualcuno diventa possibile dire anche che gli israeliani in genere sono complici di Netanyahu, anche se tutti sappiamo quale e quanta fosse la contestazione al premier e al suo governo anche prima dei fatti del 7 ottobre. Questa generalizzazione folle è esattamente la spirale a cui dobbiamo sottrarci. Anche se, purtroppo, è la generalizzazione che oggi regola molte delle relazioni internazionali.