In questi ultimi tempi la situazione nella nostra amata Terra Santa si è nuovamente infiammata generando scenari di violenza e morte che sono il frutto di un progressivo deterioramento delle relazioni tra Israele e Palestina. Lo scontro al quale stiamo assistendo mette ancora una volta in crisi l’annuncio del Principe della Pace che proprio in quella terra ha mostrato il suo volto e proclamato il suo regno.
Nell’avvicinarci al Santo Natale e al suo mistero siamo invitati nonostante tutto a ricentrarci sul cuore dell’annuncio cristiano che ci dice che la Pace è possibile. Ancora di più in questo anno duemilaventitrè nel qual celebriamo gli ottocento anni del presepe che san Francesco volle rappresentare a Greccio. In un certo senso, però, il presepe non nasce con san Francesco.
La tradizione cristiana infatti già a partire dal II e III secolo testimonia che a Betlemme, il luogo dove secondo i Vangeli Maria partorì Gesù, c’era la grotta della natività sulla quale l’imperatore Costantino fece costruire una grande basilica. San Girolamo, che visse a Betlemme per trent’anni, ha poi descritto in maniera più puntuale la «grotta naturale in cui è nato il Creatore dei cieli: qui è stato avvolto in fasce, qui fu trovato dai pastori, qui fu indicato dalla stella, qui i magi lo hanno adorato». Possiamo oggi dire che questa descrizione è l’anticipazione di quello che noi oggi chiamiamo «presepe», che significa recinto chiuso, ovvero mangiatoia. Questo scenario è stato nei secoli rappresentato dagli artisti per raccontare in maniera efficace il mistero dell’Incarnazione.
Anche noi, oggi, nelle nostre case, riproponiamo questa rappresentazione che può essere un vero e proprio atto di evangelizzazione. Lo aveva compreso bene san Francesco che a Greccio invita i presenti per vedere e adorare il mistero del farsi carne di Dio: l’Incarnazione. Il termine «adorare» infatti deriva dalle parole ad e oris che, in latino, significano [portare] alla bocca, ingerire, mangiare oppure si riferiscono al gesto di mettere la mano alla bocca come segno di annullamento della propria parola in favore di qualcosa di più grande e dal significato più alto. Adorare il presepe, quindi, ci richiede di fermarci e ascoltare con umiltà una Parola che è sempre nuova e torna a dare senso al nostro vissuto.
Possiamo quindi dire che fare il presepe è come lo svolgimento di un «dramma sacro» che con i suoi segni parla alla nostra vita e rimanda alla concretezza della nostra fede. Infatti prima di costruire il presepe si sceglie un luogo abitato della casa come la cucina o il salotto. Spazi dove la famiglia si raduna per consumare i pasti e per stare insieme. Si parte innanzitutto posizionando il cielo stellato che brilla nel buio e nel silenzio della notte e narra di un Dio che non ci lascia soli, ma si fa presente e porta luce. Poi nella grotta fatta con la carta da pacchi accartocciata si posizionano Maria e Giuseppe che testimoniano l’abbandono a Dio, l’asino e il bue che riscaldano. Sulla soglia ricoperta di piccoli sassi, le statue dei pastori che rappresentano i poveri e gli emarginati, con i loro semplici doni. Sono loro i primi adoratori del mistero del Dio bambino che li riempie di gioia. Più sopra gli angeli sormontati dalla stella che brilla e che fa da «insegna luminosa» per chi viene da lontano come i magi. E poi la campagna fatta di muschio e cortecce che ospita gli ambienti familiari: specchi d’acqua con le oche, prati con pecore, agnelli e asini, poi le case con la gente intenta nei propri mestieri: il mugnaio, il fabbro, il falegname che raccontano la santità quotidiana, la gioia di fare in modo straordinario le cose di tutti i giorni. Sullo sfondo il palazzo di Erode, colui che non comprende la salvezza che gli nasce accanto. Anzi, ha paura… Nella grotta una mangiatoia vuota che attende di essere riempita nella quale viene inserito il Gesù Bambino: che racconta di un Dio imprevedibile, fuori dagli schemi umani, che cambia e trasforma la storia con l’amore.
Quanto abbiamo bisogno di tutto questo! Celebrare un «Santo Natale» quindi ci chiede innanzitutto di fermarci e adorare il Segno di un Dio reale, vicino e palpitante. Il presepe, come ci ricorda papa Francesco, fa parte del dolce ed esigente processo di trasmissione della fede e che parla alla nostra vita dell’amore di Dio per noi. Perché ciò avvenga è necessario quindi tacere, aprire la bocca come un bimbo stupito ad-orare.
Eco di Terrasanta 6/2023
Il presepe vivente, preghiera corale
In decine di località italiane è possibile rivivere «fisicamente» l’evento nella nascita di Gesù, come fecero i poveri, 800 anni fa, quando accorsero con le fiaccole in mano per assistere a quella singolare celebrazione del Natale voluta da Francesco d’Assisi.