Sono giorni di lutto per i cristiani in Terra Santa, mentre si chiude la seconda settimana di guerra tra Israele e Hamas. Nella Striscia di Gaza si contano a migliaia i morti sotto le bombe. Dopo l’esplosione del 17 ottobre all’ospedale anglicano Al Ahli (il dato ministero della Salute gazese parla di 471 morti, anche se altri considerano la cifra largamente esagerata – ndr), due edifici nel complesso della chiesa greco-ortodossa di San Porfirio sono crollati il 19 ottobre in seguito a un bombardamento dell’aviazione israeliana nelle vicinanze (al momento si contano 18 vittime e alcune decine di feriti). In questo secondo caso gli israeliani hanno riconosciuto di aver bombardato l’area circostante l’edificio, precisando che l’obiettivo preso di mira non era però la chiesa in quanto tale e reiterando l’ordine di evacuare il nord della Striscia impartito il 13 ottobre.
I morti di San Porfirio
La comunità cristiana a Gaza conta un migliaio di persone e anche il patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, conosceva personalmente le vittime della strage di San Porfirio: «Viviamo un grande dolore – ha detto al canale televisivo della Conferenza episcopale italiana Tv2000 –. Il dolore di quelle famiglie, che sono già provate da tanto tempo, è enorme e noi siamo con loro. Preghiamo affinché questa situazione finisca quanto prima». C’è preoccupazione anche per coloro che hanno cercato rifugio nella parrocchia cattolica della Sacra Famiglia: almeno 500 persone, che si preparano all’annunciato attacco di terra da parte delle truppe israeliane. «La zona e il quartiere sono obiettivi militari – dice il cardinale –. Gli avvertimenti sono arrivati. La nostra comunità ne è informata ma ha deciso di restare. Prima di tutto perché non sanno dove andare e poi perché dicono che nessun luogo nella Striscia di Gaza è al sicuro. Preferiscono restare lì, pregano e confidano in Dio. È toccante vedere come, nonostante tutto, riescano a mantenere una fede salda, che non è scossa neanche da queste bombe».
Il dolore alimenta un odio accecante
Allargando lo sguardo il cardinale ammette: «Sono molto preoccupato di questo enorme carico d’odio che c’è ovunque. Siamo talmente pieni di dolore che non riusciamo a vedere il dolore degli altri e questo ci acceca».
In un simile contesto, venerdì 20 ottobre è arrivato a Gerusalemme, da Londra, l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby. Una visita pastorale, e di solidarietà, alla comunità anglicana che si è trasformata in una partecipazione al lutto della Chiesa greco-ortodossa, scossa dal bombardamento della sera prima su San Porfirio. Il patriarcato greco-ortodosso ha emesso una nota, condannando l’accaduto, nelle ore immediatamente successive. Nella mattinata di domenica 22 ottobre, al Santo Sepolcro, i greco-ortodossi di Gerusalemme si riuniscono in preghiera in suffragio delle vittime.
Justin Welby in preghiera
Nelle prime ore del suo breve soggiorno a Gerusalemme, ll primate anglicano si è recato in visita ufficiale al Patriarcato latino e a quello greco-ortodosso. Secondo quanto riportato nel comunicato che annuncia la sua visita, auspica di «incontrare anche leader religiosi ebrei e di rinnovare un appello per la liberazione degli ostaggi, oltre ad offrire vicinanza e cordoglio per le vittime israeliane degli attacchi terroristici di Hamas». Welby rimane in città fino a domenica 22.
La sera di venerdì 20 ottobre nella cattedrale anglicana di San Giorgio Martire, tutti i patriarchi e capi della Chiese di Gerusalemme si sono ritrovati con Welby per una preghiera comunitaria, in forma privata. Un modo per esprimere solidarietà alle Chiese colpite più da vicino dai recenti lutti ed elevare insieme la preghiera a Dio perché doni pace alla Terra Santa. Il momento di preghiera è stato guidato dal vescovo anglicano di Gerusalemme, Hosam Naum. L’arcivescovo di Canterbury ha impartito la benedizione finale.
Nuovo intervento dei capi delle Chiese
Frutto di questo incontro comune è anche una nuova dichiarazione resa pubblica dai capi delle Chiese di Terra Santa. Il testo si apre con la condanna dell’attacco aereo israeliano del 19 ottobre, «avvenuto senza preavviso», al complesso della chiesa ortodossa di San Porfirio a Gaza. Episodio, rimarcano i capi delle Chiese, che fa seguito ad altri attacchi missilistici contro luoghi di rifugio, come scuole ed ospedali, per gli abitanti di Gaza rimasti privi di una casa con i bombardamenti delle ultime due settimane.
«Rimaniamo pienamente impegnati – sottolineano i patriarchi e i capi delle Chiese – a compiere il nostro sacro dovere morale di offrire assistenza, sostegno e rifugio a quei civili che si rivolgono a noi nel momento del disperato bisogno. Anche di fronte alle incessanti richieste militari di evacuare le nostre istituzioni caritative e i luoghi di culto, noi non abbandoneremo questa missione cristiana, perché non c’è letteralmente nessun altro posto sicuro per questi innocenti a cui rivolgersi. (…) La Chiesa deve agire come Chiesa soprattutto in tempo di guerra, perché è allora che la sofferenza umana è massima».
Tuttavia, osserva la dichiarazione degli ecclesiastici di Terra Santa, «non possiamo portare a termine questa missione da soli. Chiediamo perciò alla comunità internazionale di far sì che nella Striscia di Gaza si applichi immediatamente la protezione per santuari di rifugio, come ospedali, scuole e luoghi di culto. Chiediamo un immediato cessate il fuoco umanitario in modo che cibo, acqua e medicinali vitali possano essere consegnate in sicurezza alle agenzie di soccorso che prestano servizio a centinaia di migliaia di personecivili sfollate a Gaza, inclusi i servizi gestiti dalle nostre chiese».
«Infine – si conclude la dichiarazione –, chiediamo a tutte le parti in conflitto di ridurre l’escalation della violenza e a smettere di prendere di mira indiscriminatamente civili di tutte le parti, operando nel rispetto delle regole internazionali di guerra».
Solo così si potranno gettare le basi per il cammino che resta da fare – sul versante diplomatico – in vista di una pace giusta e duratura in Terra Santa.