Documenti declassificati dell’Archivio di Stato israeliano rivelano che la quarta premier israeliana non era poi così contraria alla creazione di uno Stato palestinese. La novità emerge dai verbali di una riunione svoltasi con alcuni ministri nel 1970.
È passata alla storia anche per la celebre provocazione: «I palestinesi non esistono». In realtà nel 1970 la premier Golda Meir – rivela il quotidiano israeliano Haaretz in un articolo, a firma Ofer Aderet, apparso il primo agosto 2023 nell’edizione online in lingua inglese e riservato agli abbonati – si dichiarò disposta ad accettare la creazione di uno Stato palestinese. Lo fece nel corso di un colloquio riservato con altri ministri, oggi riemerso dai verbali top-secret declassificati dall’archivio di Stato israeliano. «La mia mente è aperta a questa ipotesi. Sono pronta ad ascoltare – si legge nei documenti desecretati – se esiste un barlume di speranza per uno staterello arabo in Giudea e Samaria (espressione con cui molti israeliani sionisti indicano la Cisgiordania – ndr) e magari anche a Gaza… Se lo chiamano Palestina, che facciano pure. Che me ne importa?».
La rivelazione non è di poco conto, considerato che Meir si espresse ripetutamente contro la stessa esistenza di una specifica identità nazionale palestinese: «Non ci sono palestinesi, ci sono arabi» diceva. «Siamo tutti palestinesi», aggiungeva sventolando il passaporto che le era stato rilasciato dopo il suo arrivo nella Palestina mandataria nel 1921. Una presa di posizione che le valse il severo giudizio degli storici, secondo i quali nei cinque anni del suo mandato impresse alla politica israeliana una rigidità che danneggiò gravemente il suo Paese e l’intero Medio Oriente.
Era trascorso poco più di un anno dalla nomina come quarto capo del governo israeliano e tre anni dall’inizio dell’occupazione dei Territori nella Guerra dei sei giorni. La “consultazione politica” riservata avvenne la sera del 9 ottobre 1970, vigilia della festa dello Yom Kippur, un mese dopo i tragici fatti del «Settembre nero» quando re Hussein di Giordania cacciò dal suo regno le milizie palestinesi insediatesi dopo il 1967 e che da lì attaccavano Israele, minacciando la stabilità e la sicurezza della monarchia. Alla riunione erano presenti i ministri della Difesa Moshe Dayan, della Cultura Yigal Allon, dell’Interno Shlomo Hillet, delle Finanze Pinchas Sapir, della Giustizia Yaakov Shimson Shapira e il ministro senza portafoglio Yisrael Galili.
«C’è un altro fatto: l’indipendenza degli arabi nei Territori» esordì la Meir, ponendo la questione sul tappeto e definendola «di vasta portata». «Agli arabi in Giudea e Samaria deve esser alla fine concessa l’opzione dell’autodeterminazione, se e quando noi lo vorremo… Ci sarà cioè un altro Stato» disse in quei minuti. Parlò anche del nome e delle diverse opzioni in campo. «Ho detto fin dal primo giorno dopo la guerra che il problema è come questo secondo Stato verrà chiamato… Se sarà uno Stato indipendente, legato in forma di confederazione ad Israele oppure a Israele e Giordania insieme, oppure – se loro lo desiderano – soltanto alla Giordania, come parte di un trattato di pace», disse.
«A mio avviso, quel che conta è ciò che noi vogliamo. La vediamo allo stesso modo – chiese ai presenti – o abbiamo opinioni differenti? Dobbiamo chiarirci. Di fatto sono aperta su questa opzione. All’indomani della Guerra dei sei giorni ero contraria, ma oggi sono aperta a questo e pronta ad ascoltare se c’è anche solo una scintilla di un barlume di speranza per uno staterello arabo indipendente in Giudea e Samaria, e magari anche Gaza, e se con una confederazione oppure federazione: non mi importa su quale concetto sarà basato».
La discussione entrò a quel punto nei dettagli. Le prese di posizione dei ministri lasciano trasparire come la nascita dello Stato palestinese non fosse affatto esclusa tre anni dopo l’inizio dell’occupazione dei Territori: per la classe dirigente laburista rappresentavano soprattutto una moneta di scambio in eventuali negoziati. Non sono stati ancora declassificati i documenti afferenti al colloquio successivo, che era stato programmato dopo le festività ebraiche.