Centinaia di abitazioni, cortili ed edifici storici sono stati restaurati nei quartieri arabi di Gerusalemme nel corso di 28 anni grazie a un’organizzazione di architetti palestinesi guidati da una donna. Riconoscimenti internazionali.
La sua più recente impresa è stata quella di aver procurato un alloggio e migliorato le condizioni di vita di 56 famiglie tra Gerusalemme e Nablus. Ma nel corso di 28 anni da quando è stato istituito, il Programma di rivitalizzazione della città vecchia di Gerusalemme guidato dall’architetta e consulente dell’Unesco Amal Abuelhawa ha portato a termine centinaia di interventi di restauro degli edifici secolari del centro storico di diversa entità: da quello di un monolocale di 18 metri quadri per un costo di 20mila dollari fino alla riabilitazione durata tre anni dell’antico orfanotrofio di Dar al-Aytam al-Islamiyah, risalente all’epoca dei mamelucchi circassi (tra il 1382 e il 1517) e degli Ottomani con un’estensione di circa 10mila metri quadri. «Il Programma – racconta Abuelhawa – è stato istituito nel 1994 dall’associazione palestinese Welfare (Taawon, in arabo “cooperazione”) per conseguire lo sviluppo sostenibile e la riqualificazione dell’assai degradata città vecchia. Un team multidisciplinare ha lavorato sul restauro di edifici storici e parallelamente sulla raccolta di dati e analisi».
Fatti e cifre di 28 anni di restauri
La pubblicazione nel 2002 del Piano strategico per la rivitalizzazione della città vecchia di Gerusalemme, vincitore nel 2004 il premio Agha Khan per l’Architettura, è stato solo il punto di partenza. Tra il 1994 e il luglio 2022 il Programma ha restaurato 950 unità abitative (comprese 730 appartamenti a Gerusalemme), ha realizzato 113 progetti di riutilizzo come sedi istituzionali di edifici storici (compresi un centinaio a Gerusalemme), ha impiegato circa 70 milioni di dollari sulle attività di salvaguardia del patrimonio culturale della Palestina (dei quali solo sette milioni a Gerusalemme), ha svolto 90 corsi di formazione con un migliaio di praticanti, e ha realizzato 112 laboratori di comunità nella città vecchia frequentati da 4.885 studenti, residenti entro le antiche mura e negli edifici restaurati.
Quattro aree di interventi
«Dal giorno in cui il Programma è stato istituito – spiega l’architetta Abuelhawa – abbiamo cercato di realizzare un processo di riqualificazione integrata che va al di là del mero restauro e riutilizzo di edifici storici e monumenti: bisogna lavorare anche sugli altri tre ambiti della documentazione e informazione, coinvolgimento delle comunità e formazione. Solo lavorando contemporaneamente su questi quattro ambiti possiamo sperare di raggiungere il nostro obiettivo: migliorare le condizioni sociali, economiche e ambientali della città vecchia di Gerusalemme, proteggere il patrimonio storico e architettonico, e costruire le professionalità degli operatori della salvaguardia dei beni culturali incoraggiando al tempo stesso la partecipazione della comunità al processo di riqualificazione».
Soprattutto perché la sopravvivenza identitaria, culturale e abitativa degli arabi gerosolimitani è da più di cinquant’anni sotto attacco. «Il nostro obiettivo – spiega Amal – è rafforzare nei residenti della città vecchia di Gerusalemme, soprattutto in chi vive nei pressi della moschea di Al-Aqsa, quella che noi palestinesi chiamiamo sumud, o “fermezza”, nella resistenza all’occupante e di proteggerli dai coloni che cercano di cacciarli via e di falsificare l’identità storica della città vecchia. Cerchiamo di contrastare il crescente degrado osservato in questi decenni del tessuto architettonico e storico degli edifici antichi intorno alla Spianata e ai nostri luoghi santi».
Nel 2022 il Gran Premio ICCROM-Sharjah
Sotto la direzione di questa architetta e archeologa specializzata in architettura islamica, l’anno scorso l’organizzazione ha vinto il Gran Premio per le buone pratiche nella tutela e gestione del patrimonio culturale nella regione araba del Centro internazionale di studi per la conservazione ed il restauro dei beni culturali (Iccrom) con sede a Roma per il progetto di riabilitazione e restauro di otto edifici storici e di un cortile residenziale nei pressi della Moschea di Al-Aqsa. Un’assegnazione, si legge nella motivazione del premio conferito a Sharjah, negli Emirati Arabi uniti, dallo sceicco Sultan bin Muhammad Al Qasimi, conseguita «per l’approccio sistematico di questo progetto a favore di un impatto positivo sulle famiglie che vivono in questa area sotto costante minaccia da parte delle forze occupanti. Questo progetto mostra il potere della tutela dei beni architettonici nel guarire le ferite di coloro che soffrono e l’effetto positivo che la salvaguardia del patrimonio culturale può avere sui traumi generazionali e nel mantenere unite le famiglie nel perseguire la difesa delle loro legittime proprietà e della terra».
Iniziato nel 2018, il progetto ha riguardato tra l’altro il restauro del complesso residenziale Aminah Khalidi sulla Bab al-Majlis Road; il palazzo della famiglia Kalouti nel rione di Aqabat Shaddad; la scuola Al-Mazharyya nei pressi della Bab al-Hadid, o Porta di ferro, uno dei sette ingressi dalla città vecchia alla Spianata delle Moschee e altre cinque tra scuole, moschee e monumenti sedi di abitazioni e di istituzioni. Oggi concluso, del progetto hanno beneficiato 52 famiglie (245 residenti); 28 ingegneri e una decina di operai e muratori sono stati formati, con 392 studenti che hanno partecipato ai laboratori educativi.
Narrazioni in contrasto
L’area di questo progetto, rimarca l’architetta, «è costantemente nel mirino della forza occupante nei suoi tentativi di cambiare la composizione demografica del quartiere, ridurre il numero dei gerosolimitani (palestinesi – ndr) che risiedono nella città vecchia e aumentare il numero dei coloni ebrei. Tanto il governo quanto i coloni cercano di giudaizzare la storia della città e di intraprendere scavi e aprire tunnel proprio sotto l’area della Spianata delle Moschee per trovare conferme delle narrazioni bibliche, danneggiando così gravemente le fondamenta strutturali di molti dei nostri edifici storici in quella zona». I residenti, inoltre, affrontano la costante minaccia di espulsione dalle loro case. «Molti edifici in quella zona sono controllati dai coloni, il che provoca tensioni quotidiane tra i residenti. La vicinanza alla Spianata delle Moschee e al Muro del Pianto – aggiunge – crea continue turbolenze, come mostrano i frequenti interventi della polizia israeliana».
A causa delle politiche israeliane molti residenti arabi di Gerusalemme corrono continuamente il rischio di perdere i diritti di residenza nella città natale. «L’aumento della densità demografica all’interno della città vecchia, insieme alla crescente povertà e alla noncuranza da parte delle autorità israeliane, sta provocando il degrado di molte strutture culturalmente importanti che rischiano di divenire fatiscenti. Il lavoro di conservazione che abbiamo intrapreso – chiosa Amal Abuelhawa – cerca di preservare il valore e l’autenticità dell’identità culturale degli edifici e di formare progettisti e operai all’importanza storica di questi edifici oltre alle misure di sicurezza dei cantieri e alle competenze tecniche richieste».