Deserti fioriti e aranceti fecondi... A 75 anni dal primo conflitto arabo-israeliano permangono le insidie delle opposte narrative. Di recente una frase della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha rinfocolato le polemiche.
La polemica è di quelle che arrivano inattese, almeno da parte di chi pensava di aver fatto semplicemente un breve video di auguri agli israeliani per l’anniversario numero 75 dell’indipendenza dello Stato. Ursula von der Leyen, la presidente della commissione dell’Unione europea, aveva deciso di mandare agli israeliani un videomessaggio di appena un minuto e mezzo, alla fine di aprile, proprio nel giorno della ricorrenza. Difficile pensare che un video di auguri postato su twitter potesse ottenere, in appena dieci giorni, quattro milioni e mezzo di visualizzazioni. Così, invece, è successo: tutto per una frase pronunciata dalla presidente von der Leyen, considerata offensiva da parte dei palestinesi e, in generale, di tutta la piazza digitale araba. «Avete letteralmente fatto fiorire il deserto», ha detto von der Leyen agli amici israeliani.
Una frase – «fiorire il deserto» – che è considerata non solo problematica, ma falsa da parte dei palestinesi. La guerra delle narrazioni, infatti, prosegue e, anzi, si inasprisce sempre più, con il passare degli anni. Alla narrazione israeliana, di «un popolo senza terra arrivato in una terra senza popolo», si contrappone la narrazione palestinese, che racconta di un popolo cacciato dalla propria terra e che da 75 anni compone la massa di profughi in Giordania, Libano, Siria. Al video postato su Twitter dalla delegazione della Ue in Israele, ha fatto dunque seguito una polemica composta di articoli, commenti, post sulle piattaforme social, prese di posizione dei politici e delle istituzioni, dichiarazioni dell’una e dell’altra parte. A dimostrazione che la questione israelo-palestinese è viva e per nulla risolta.
Tra le risposte che vanno più nel profondo della storia precedente al 1948, e del rapporto con la terra, è significativa quella – rimbalzata ovunque – che tocca la famiglia Gargour, e che riguarda – in tutta evidenza – la stessa nazionalità (tedesca) di Ursula von der Leyen. Famiglia palestinese assai benestante, i Gargour erano molto conosciuti per il commercio delle arance a Jaffa. Era il commercio più importante, tra gli anni Venti e Trenta, ben prima della fondazione di Israele. Le arance palestinesi, la varietà shamouti in particolare, erano tra le più apprezzate e commercializzate al mondo. La coltura delle arance aveva fatto di Jaffa e del suo porto uno dei centri economici e culturali di punta dell’intera costa, ancor più di Beirut. La stessa stella d’Oriente della canzone araba, Umm Kulthoum, si era recata a Jaffa in tournée, a dimostrazione della sua rilevanza. Le arance erano merce talmente preziosa da poter essere moneta sonante per comprarsi una macchina. Una Mercedes, per esempio, auto tedesca, che il capostipite Tawfiq Gargour acquistò pagandola proprio con una partita di arance all’inizio degli anni Trenta. Anzi, esattamente novant’anni fa. Il destino della famiglia Gargour è lo stesso subìto da quasi tutta la popolazione palestinese di Jaffa: la Nakba, la catastrofe del 1948, come i palestinesi definiscono la cacciata dalle loro case. Proprio quella Mercedes, per i Gargour, ha significato la nuova impresa in cui si sono cimentati, aprendo concessionarie ad Amman e non solo. Dalle arance alle auto. Il deserto, questo il primo messaggio, era già fiorito da prima, e i tedeschi amavano già le arance di Jaffa. Della storia, questo è il secondo messaggio, bisogna conoscere tutte le varianti.