Accanto ai quartieri cristiano, musulmano ed ebraico della città vecchia di Gerusalemme, un quarto settore, anch’esso cristiano, è racchiuso nelle mura cinquecentesche: il quartiere armeno, che dal VII secolo con il Patriarcato della Chiesa apostolica armena, segna una presenza ininterrotta. Tra i luoghi del quartiere che meritano di essere visitati c’è un prezioso museo, da pochi mesi riaperto al pubblico dopo un profondo rinnovamento, che testimonia la storia e la cultura di questo popolo, tra architettura, manufatti e opere d’arte. Un popolo cristiano da più di 1700 anni, da quando il re Tiridate si convertì e proclamò il cristianesimo religione di Stato, prima dell’imperatore Teodosio nell’Impero Romano.
La presenza armena in Terra Santa, con la costruzione delle prime chiese oggi scomparse, risale al IV-VII secolo. Da una di queste chiese proviene lo spettacolare mosaico, scoperto nell’Ottocento e conservato nel Museo, definito il «il primo monumento al milite ignoto» di cui si abbia conoscenza. Tra ceramiche, croci, mitre, ricami, tappeti, monete, piastrelle, libri illustrati e mappe antiche, l’itinerario del Museo si sviluppa all’interno di un magnifico edificio ottocentesco costruito in origine per ospitare il seminario teologico armeno.
Quegli spazi testimoniano anche un altro passaggio cruciale della storia del popolo armeno: un secolo fa diede infatti riparo a oltre seicento orfani scampati al genocidio perpetrato nell’Impero Ottomano nella Prima guerra mondiale. Dopo un lungo intervento di restauro e riorganizzazione, finanziato dalla Fondazione dei filantropi armeno-statunitensi Edward e Helen Mandrigian, cui è intitolata la raccolta, questo tesoro finora poco conosciuto della storia cristiana di Gerusalemme è di nuovo aperto ai visitatori e ai pellegrini.
Eco di Terrasanta 3/2023
Bene-dire, dire-bene
Prima e ultima parola di Dio su ogni uomo: la benedizione non è un semplice augurio di bene, ma è fortemente connessa alla speranza e all’amore di Dio per ciascuno di noi, anche per chi fosse parte degli «irrecuperabili».