C’è uno spazio virtuale in cui si sta sviluppando un’originale narrazione del mondo religioso ebraico tutta al femminile: la nuova frontiera delle donne ebree ortodosse si chiama Instagram e TikTok.
Instagram, che è molto popolare nella galassia chassidica nordamericana, ha infatti offerto alle donne osservanti l’opportunità di aggirare le strutture religiose dell’ebraismo ortodosso, da sempre tradizionale appannaggio maschile, che precludevano loro ogni posizione di potere e responsabilità.
Attraverso i social media, alcune di esse sono diventate delle vere e proprie influencer, facendo da apripista, all’interno delle proprie comunità, con nuovo linguaggio per affrontare le tematiche più varie: precettistica religiosa, vita coniugale, benessere femminile e maternità, cucina, musica, arte, cura della propria persona e abbigliamento «modesto» e rispettoso.
Le più famose e seguite instagrammer e tiktoker ortodosse sono nordamericane e vivono tra Stati Uniti e Canada: comunicano in inglese e il loro pubblico è principalmente anglofono. Il legame spirituale con la terra di Israele – ma soprattutto la potente rete delle organizzazioni e agenzie ebraiche attive negli Usa – ha generato negli ultimi decenni un costante incremento di ebrei osservanti che fanno l’aliyah, il ritorno verso Eretz Israel, la terra d’Israele.
Fatto che si traduce spesso nel popolamento, da parte di questi olim, ossia immigrati ebrei che raggiungono la terra madre, di città a maggioranza religiosa come Beit Shemesh e Modi’in, o ancora dei sobborghi settentrionali e orientali di Gerusalemme situati oltre la linea verde, quella dell’armistizio del 1949, oggi nella totalità abitati da ebrei haredi appartenenti a diverse sette rabbiniche o ancora movimenti sionisti religiosi come Dati Leumi, anche noti come Kippah seruga, coloro che portano la kippah lavorata all’uncinetto.
Ma non solo: non è un mistero che i nuovi olim religiosi provenienti dagli Stati Uniti vadano in larga parte a infoltire la popolazione di coloni degli insediamenti nei Territori palestinesi della Cisgiordania.
Questa lunga premessa è necessaria per comprendere la complessità del mosaico israeliano, e per introdurre una selezione di influencer al femminile sui social in Israele.
La mamma della challah
Challah Mom, @challah.mom, è il profilo di Anat Ishai, 115mila follower su Instagram, oltre 32mila su TikTok: nata in Israele da genitori ebrei russi, emigrata in Canada da bambina dove è cresciuta nella comunità ebraica di Toronto, da circa un anno si è stabilita in Israele con la famiglia composta da marito e quattro figli. Il suo nickname significa la «mamma della challah», il pane a forma di treccia che si impasta in occasione dello Shabbat. Sulla quarantina, dal sorriso contagioso, indossa colorati tichel, i foulard imbottiti che le donne osservanti utilizzano per coprire il capo, e racconta – esprimendosi danzando e cantando, in puro stile Tiktok – la routine della vita quotidiana di una olim anglofona alle prese con la difficoltà di ambientarsi in un Paese di cui non padroneggia la lingua. Il suo è un messaggio incentrato sulla forza dell’unione familiare, dell’amore per i figli e il compagno di vita, con il tipico approccio «pensa positivo» frutto del suo retroterra nordamericano. Tra una challah e l’altra, le preoccupazioni per le pulizie di Pesach, la faticosa gestione della famiglia in un Paese di gente senza fronzoli, Anat Ishai pubblica i suoi contenuti, probabilmente da una abitazione che sorge oltre la linea verde, rivolgendosi con entusiasmo alla comunità femminile ebraica globale.
Temi tabù con il sorriso
Malka Chana Amichai, 34 anni, intensi occhi azzurri sotto un voluminoso tichel simile ad un turbante, look un po’ hippie, al secolo Carly Fleischer e originaria della Florida, su Instagram risponde al profilo di Bohemian Balabusta (casalinga bohemienne). Ex doula e insegnante di yoga, vanta oltre 57mila follower. Come donna ortodossa, madre di quattro bambini e sposata con un rabbino che indossa la kippah fatta all’uncinetto, Amichai usa Instagram per promuovere messaggi positivi e di consapevolezza sulla sessualità e il benessere delle donne; propone corsi a pagamento in cui parla del piacere femminile nella vita di coppia come pure di ciclo mestruale e salute, utilizzando un linguaggio semplice e diretto per affrontare argomenti che sono stati a lungo considerati tabù nel mondo ortodosso. Il marito, anch’egli statunitense, è responsabile di un’organizzazione basata su ideali sionisti e religiosi, che promuove una crescita spirituale rivolta a giovani ebrei nordamericani e anglosassoni, che vogliano sperimentare la vita in Israele. La famiglia Amichai vive tra le colline desertiche di Gush Etzion, a sud di Betlemme, tra gli insediamenti ebraici nei Territori occupati.
La maratoneta e l’attrice
C’è poi Beatie Deutsch, @marathonmother con 34mila follower su Instagram, originaria del New Jersey, da 15 anni residente tra Neve Michael, vicino a Beit Shemesh e Har Nof, sobborgo di Gerusalemme: un vero fenomeno di donna, conosciuta per essere una maratoneta campionessa ortodossa e madre di cinque bambini piccoli. Il suo profilo si concentra su fitness e sport, ispirazione e motivazione, saggezza ebraica e maternità. Il dono della corsa, secondo lei, può essere di ispirazione per chi vuole scoprire i propri talenti e usarli per fare la differenza nel mondo. Beatie, uno scricciolo alta un metro e mezzo, corre indossando una mise modesta, braccia e capelli coperti, leggings e gonna sportiva.
Dopo l’atleta, ecco l’attrice buffa e brillante, che nei suoi reel rappresenta sketch ironici al femminile sul mondo ortodosso. Julie Rothschild Levi, @officiallyjulie, americana ma residente a Rehovot (a sud di Tel Aviv), sta vedendo lievitare i suoi follower da quando ha iniziato a realizzare brevi video comici per donne ebree osservanti. Il suo obiettivo è fornire momenti divertenti che possano rendere meno pesante la giornata al suo pubblico: ad esempio, focalizzandosi sulla creazione di contenuti che affrontino le sfide dell’essere un «religioso osservante di ritorno», ossia un Ba’al teshuva americano in Israele, con una grande autoironia.
Queste e molte altre donne ebree ortodosse hanno colto nei canali social uno strumento per fare sentire la propria voce, scegliendo di autodeterminare il proprio racconto personale.
Il lato in ombra di questa medaglia, però, è la totale assenza di riferimenti all’altra componente di umanità che vive in quelle terre: quella araba palestinese.