Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Machsom Watch, attiviste per la libertà

Giulia Ceccutti
12 gennaio 2023
email whatsapp whatsapp facebook twitter versione stampabile
<i>Machsom Watch</i>, attiviste per la libertà
14 dicembre 2022. Sovraffollamento a un check-point. (foto Shuli Bar/Machsom Watch)

Non sono molte, ma credono nella causa per cui si mobilitano le donne israeliane dell'associazione Machsom Watch. Vigilano e testimoniano sulle storture e abusi derivanti dall'occupazione militare nei Territori palestinesi di Cisgiordania. Ne parliamo con Karin Lindner, una di loro.


Karin Lindner è un’elegante signora israeliana di 86 anni, che parla un ottimo inglese. Architetto in pensione, è nonna e abita a Tel Aviv.

Fa parte di Machsom Watch (machsom in ebraico significa check-point, posto di blocco), associazione nata nel 2001 e composta da sole donne – perlopiù non giovanissime – che si battono contro l’occupazione militare israeliana dei Territori palestinesi di Cisgiordania (iniziata nel 1967). Lo fanno monitorando la situazione ai posti di blocco, denunciando abusi o violazioni dei diritti dei palestinesi e soprattutto cercando di informare, in Israele, su quanto accade al di là del muro di separazione.

Oggi i membri attivi sono un’ottantina, mentre la rete di contatti che partecipano alle attività in modo più sporadico conta circa 250 persone.

Abbiamo incontrato Karin in videochiamata e le abbiamo chiesto di raccontarci come questa organizzazione si collochi oggi all’interno del mondo delle associazioni per i diritti umani in Israele, su cosa stia lavorando e quali prospettive intravveda alla luce delle ultime elezioni.

Una protesta politica

Per rispondere, Lindner compie un passo indietro, partendo dagli inizi del suo impegno, nel 2003: «In quegli anni le attiviste di Machsom Watch erano le uniche ad andare ai check-point nell’area centrale dei Territori palestinesi, a Qalqilya [dove ci sono barriere di ingresso alla città di Ramallah arrivando da Gerusalemme – ndr] e a Nablus, allora letteralmente circondata da posti di blocco. Stavamo lì in piedi, aspettando per ore. Eravamo divise in quattro gruppetti al giorno: due la mattina e due al pomeriggio. Fu terribile. La nostra era – ed è – essenzialmente una protesta politica contro l’occupazione. Non si tratta di portare aiuti umanitari quanto piuttosto di testimoniare con la presenza il nostro “no” a questa politica. Poi, un giorno, di colpo, alcuni check-point vengono rimossi (fu il caso di Nablus): ciò a conferma del fatto che spesso non servono per la sicurezza, bensì a rendere sempre più difficile la vita della popolazione palestinese».

Il lavoro a fianco dei villaggi palestinesi

Attualmente Machsom Watch è molto impegnata anche nelle campagne e nei villaggi dei Territori, in particolare nella cosiddetta Zona C, sotto controllo civile e militare israeliano.

«Andiamo nei villaggi per aiutare i palestinesi con i permessi e le complicate operazioni burocratiche legate alla coltivazione di terreni, di frequente impedita dal muro o dai posti di blocco», spiega Karin. «Svolgiamo più che altro un ruolo di mediazione tra i coltivatori e le autorità israeliane, ad esempio i consigli municipali. Proviamo poi a capire com’è la situazione, quali sono i principali problemi, per poterli testimoniare nei nostri rapporti. In una parola: cerchiamo di stare accanto a queste persone. Lavoriamo anche con diversi gruppi di donne, insegnando loro l’inglese (la lingua che richiedono di più) o ricamando insieme. In genere due o tre delle nostre volontarie incontrano un gruppo di una decina di donne».

Karin cita tra i bisogni più urgenti dei villaggi di quest’area: la mancanza d’acqua e di elettricità; la presenza di coloni estremisti che minaccia il lavoro dei contadini (ad esempio durante la raccolta delle olive); il problema dell’accesso ai terreni – proprietà di coltivatori palestinesi – reso difficoltoso, se non impossibile, dalle barriere che Karin chiama «stagionali».

3 febbraio 2022. Una volontaria di Machsom Watch accompagna alcuni pastori nella Valle del Giordano per proteggerli dalle minacce dei coloni. (photo Rachel Afek/Machsom Watch)

Infine, le donne di Machsom Watch sono tra i volontari impegnati nelle colline a sud di Hebron, segnate da povertà e tensioni quotidiane, e organizzano tour in Cisgiordania, in particolare nella Zona C. L’obiettivo è mostrare la vita sotto occupazione. «Abbiamo dovuto interrompere queste visite durante la pandemia da Covid-19 e, a fasi alterne, a causa della mancanza di sicurezza, ma speriamo di riprenderle presto, soprattutto nella Valle del Giordano, dove abbiamo operato a lungo e dove la situazione è molto difficile», precisa Linder.

L’occupazione negli occhi

Soggiunge: «Da oltre un anno, dopo le elezioni del 2021, collaboriamo inoltre con altri attivisti per la pace sotto lo slogan Guardare l’occupazione negli occhi. Trascorriamo i fine settimana a Tel Aviv di fronte al ministero della Difesa, nel quartiere di Sarona, con cartelli e volantini, parlando con i passanti nei principali incroci e sui ponti. Abbiamo “adottato” un ponte sull’autostrada a nord di Tel Aviv, e stiamo lì con i cartelli in mano per far sì che la gente si ricordi e prenda coscienza dell’occupazione. Parallelamente, firmiamo e diffondiamo petizioni e lettere al governo».

26 ottobre 2022. Bambini palestinesi del villaggio di Um Tuba, vicino a Gerusalemme, tornano a casa da scuola scortati da un soldato israeliano incaricato di proteggerli. (foto Michal Tsadik/Machsom Watch)

In generale, le zone in cui si divide oggi l’intervento dell’associazione sono quattro: l’area di Gerusalemme, il nord e il sud dei Territori occupati e, infine, la già citata zona centrale, quella che – nell’esperienza delle volontarie – è interessata dai cambiamenti più frequenti.

I fondi per mandare avanti le attività arrivano principalmente dagli iscritti alla mailing list (oltre 3.500) e da organismi ebraici internazionali come New Israel Fund.

L’incertezza sul futuro

Scontato, a questo punto, provare a guardare insieme al futuro. «Non sappiamo cosa succederà con il nuovo governo, di cui fan parte diversi elementi estremisti. Lo choc dopo le elezioni è stato molto forte. Quando leggi il giornale la mattina hai l’impressione che stiamo “perdendo” sempre di più in termini di libertà di parola, di movimento per i palestinesi, di diritti in generale. Nel 2022 la violenza dell’esercito israeliano verso la popolazione palestinese nei Territori è cresciuta in modo esponenziale. Alcuni politici hanno rilasciato dichiarazioni piuttosto gravi verso le organizzazioni che operano per la difesa dei diritti umani. In sintesi, come dicevo, non è facile fare previsioni: non abbiamo idea di cosa accadrà».

La voce di un silenzio sottile
Johannes Maria Schwarz

La voce di un silenzio sottile

Un cercatore di Dio racconta
Il giardino segreto
Roberta Russo

Il giardino segreto

L’Albero del Natale e gli altri simboli della tradizione
David Maria Turoldo
Mario Lancisi

David Maria Turoldo

Vita di un poeta ribelle