Protestano le donne e i giovani contro la nuova legge elettorale voluta dal presidente Kais Saied che renderebbe “iper-presidenziale” il sistema politico in Tunisia in vista delle elezioni legislative del prossimo 17 dicembre.
Crescono i timori per il giro di vite e il progressivo restringimento delle libertà civili e politiche in Tunisia. In vista delle elezioni legislative del prossimo 17 dicembre, femministe e attivisti per i diritti umani denunciano la deriva autoritaria voluta dal presidente Kais Saied dopo l’approvazione – l’estate scorsa – della nuova Costituzione che ha cambiato il sistema politico tunisino. Aumentano le proteste in particolare contro la legge elettorale giudicata «antidemocratica»: essa consente solo a singoli individui di essere eletti e, secondo una coalizione di 12 associazioni di donne e gruppi della società civile, spinge ai margini le candidate donne, colpisce i progressi compiuti sul versante della partecipazione politica femminile e dei giovani e riporta indietro le lancette della storia non tanto alla Rivoluzione dei gelsomini del 2011 ma alla stessa istituzione della Repubblica nel 1956.
Rischi di compravendita delle candidature
Gli strali della citata coalizione, che ha scelto di chiamarsi Dinamismo femminista, si scagliano anche contro la creazione di una commissione elettorale che dovrebbe gestire gli esiti della consultazione. Quell’organismo, hanno dichiarato nei giorni scorsi, «non è rappresentativo di tutti i segmenti della società tunisina, visto che è dominato dagli uomini e cerca di escludere le donne dall’intero processo elettorale». Il nuovo decreto legge 55 sulle elezioni «mina il diritto delle donne di partecipare alla vita politica e alla pubblica amministrazione». Secondo gli attivisti, le falle nel nuovo sistema causeranno un aumento della corruzione, visto che la compravendita nelle candidature emarginerà le donne e i giovani. La legge prevede infatti che i candidati debbano essere selezionati da almeno 400 elettori registrati: chi vuol nominare un candidato deve far la fila al municipio e pagare una tassa amministrativa per far registrare la propria firma.
La precedente legge elettorale esprimeva un sistema proporzionale basato su liste elettorali e su un meccanismo di pesi e contrappesi con il 50 per cento di rappresentanza femminile e il 25 per cento di giovani: gli attivisti rimarcano che il nuovo sistema non offre alcuna garanzia di pari opportunità elettorali per donne e giovani e questo viola l’articolo 1 della nuova Costituzione che tutela l’uguaglianza di uomini e donne.
Povertà ed emigrazione
Numerose organizzazioni non governative, da Amnesty International a Human Rights Watch, hanno segnalato una contrazione delle libertà civili e politiche nel Paese, mentre l’inflazione aumenta anche a causa della guerra in Ucraina, il reddito pro-capite resta ben al di sotto dei 10mila euro l’anno e cresce la quota di giovani (il 38 per cento degli 11 milioni di tunisini ha meno di 24 anni) che tenta l’emigrazione illegale. Secondo i dati del ministero dell’Interno italiano al 2 novembre la Tunisia sfonda, insieme all’Egitto, la quota di 16mila migranti sbarcati nel 2022 sulle nostre coste (il 20 per cento delle quasi 86mila persone approdate in Italia, oltre il 10 per cento delle quali sono minori stranieri non accompagnati).
La coalizione Dinamismo femminista ha lanciato una petizione online per chiedere la modifica della legge elettorale, mentre i sindacati dei giornalisti sono scesi in piazza minacciando il boicottaggio mediatico in occasione delle elezioni.
Molti ricordano che con l’avvento di Habib Bourghiba (1957–1987) la Tunisia fu il primo Paese nel mondo arabo a dotarsi di una serie di riforme improntate alla modernizzazione, all’abolizione della poligamia con la parità di diritti fra uomo e donna anche in materia di divorzio e all’emarginazione dei movimenti di ispirazione islamista. Già nell’agosto 1956 in Tunisia fu promulgato un codice di statuto personale che riformava radicalmente la legge islamica in materia di diritto di famiglia, garantendo la parità di diritti fra uomo e donna: così furono aboliti la poligamia e il ripudio da parte del marito, fu legalizzato il divorzio giudiziario e fissata un’età minima per contrarre matrimonio, obbligando gli sposi a scambiarsi il libero consenso. Anche quella legislazione, che è rimasta un passo isolato nel mondo islamico, oggi corre il rischio di essere indebolita.