Domenica 23 ottobre è stata solennemente celebrata la riapertura del Museo d’Arte e Storia intitolato a Edward e Helen Mardigian, all’interno del Convento armeno nella città vecchia di Gerusalemme. L’evento si è svolto alla presenza del Patriarca armeno di Gerusalemme, Nourhan Manougian, che in un discorso ha sottolineato «l’importanza di ridar vita al Museo armeno in un centro come Gerusalemme». Lo riferisce la testata indipendente armena Orer, che spiega che il museo è destinato a diventare un «centro importante per lo studio della storia ecclesiastica e secolare armena e dell’arte armena», insieme alla biblioteca Gulbenkian.
Per il Patriarcato latino di Gerusalemme, che ha preso parte all’evento, la cerimonia ha segnato «l’inizio di un nuovo capitolo della presenza armena nella Città Santa». Queste sono state anche le parole di padre Arakel Aljalian, parroco armeno-statunitense della Chiesa armena di San Giacomo a Watertown (Massachusetts). Quest’ultimo offrì la sua mediazione ai figli dei signori Mardigian, storici mecenati del museo, perché proseguissero l’opera dei genitori. Il museo, fondato alla fine degli anni Sessanta, era stato chiuso nel 1995 e dovrebbe aprire le sue porte ai visitatori in novembre.
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Ristrutturato sotto la guida dell’architetto armeno franco-libanese Harutiun Bezdjian, il museo mette in luce la storia e il patrimonio del popolo armeno in Terra Santa. «Per un popolo la cui esistenza è stata messa in discussione e minacciata, un museo non è solo una collezione di manufatti e oggetti preziosi. È anche un modo per preservare e trasmettere la conoscenza della nostra storia”, ha sottolineato padre Arakel Aljalian.
Uno scrigno per la Gerusalemme armena
Il museo custodisce oggetti preziosi (croci, calici, cibori, ostensori, pastorali, ecc.), lettere e documenti ufficiali, oltre a una ventina di manoscritti provenienti dalla collezione di manoscritti del Patriarcato armeno, la seconda più grande del mondo. L’edificio espone anche arazzi, tendaggi d’altare, paramenti sacerdotali di antichi patriarchi e diademi ricamati con fili d’argento e oro oltre, naturalmente, a ceramiche.
Tutto questo patrimonio racconta la ricca storia della presenza armena a Gerusalemme, dalla conquista della Palestina da parte del re armeno Tigrane II nel 95 a.C., fino al periodo ottomano, attraverso la prima forte emigrazione di armeni a Gerusalemme nel IV secolo, dopo che l’Armenia divenne il primo Stato cristiano. Una parte importante dell’esposizione è dedicata anche al genocidio armeno, che nell’Impero ottomano culminò negli anni 1915-1917, e agli orfani che trovarono rifugio nel Patriarcato armeno.
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Cuore dell’esposizione, sotto una maestosa vetrata al centro del museo, è un gigantesco mosaico del VI secolo, scoperto nel 1894 nell’attuale quartiere di Musrara a Gerusalemme, a nord-ovest della Porta di Damasco. Rappresenta una moltitudine di uccelli in mezzo a grappoli d’uva e foglie di vite, tutti simboli che indicano la vita dopo la morte. Misura 6,5 x 4 metri e ornava un tempo la cappella funeraria di San Polieucto, ufficiale della XXII legione romana e soldato-martire del III secolo. Alla base c’è un’iscrizione in armeno che recita: «Alla memoria e per la salvezza delle anime di tutti gli armeni i cui nomi sono conosciuti solo da Dio».