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Demografia in Israele, conferme e novità

Giulia Ceccutti
10 ottobre 2022
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Demografia in Israele, conferme e novità
Folla accalcata in una via di Gerusalemme nel settembre 2022. (foto Olivier Fitoussi/Flash90)

Israele è ormai alla soglia dei 10 milioni di abitanti (saranno 15 milioni entro il 2050). Le statistiche confermano un nuovo impeto negli arrivi di ebrei da Russia e Ucraina. I dati commentati dal demografo Sergio Della Pergola.


Nei giorni scorsi, alla vigilia di Rosh Hashanah, il Capodanno ebraico, l’Ufficio centrale di statistica israeliano ha pubblicato i dati demografici aggiornati della popolazione di Israele, che si attesta su poco più di 9,5 milioni di residenti, per l’esattezza 9 milioni e 593mila persone. Di questi, 7 milioni e 69mila (circa il 74 per cento) sono ebrei, circa 2 milioni (pressappoco il 21 per cento) arabi, e quasi mezzo milione (il 5 per cento) ha una diversa appartenenza etnica.

Andando di questo passo la popolazione dovrebbe raggiungere i 10 milioni entro la fine del 2024, i 15 milioni entro il 2048 e i 20 milioni entro la fine del 2065.

Qualche chiave di lettura

I dati resi noti sono in gran parte frutto delle ricerche e degli studi condotti all’Università ebraica di Gerusalemme da Sergio Della Pergola, professore emerito di demografia, attualmente il più autorevole esperto di demografia dell’ebraismo. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente a Gerusalemme per chiedergli un aiuto nell’interpretare il quadro nel suo complesso. Ci ha risposto operando in primo luogo una distinzione tra due tipi di dati: una parte che riguarda il mondo ebraico negli altri Paesi, l’altra che si concentra invece sullo Stato d’Israele, e quindi sul suo futuro. Fattore determinante che tocca entrambi è l’immigrazione.

I nuovi arrivi

Negli ultimi dodici mesi, l’immigrazione di nuovi cittadini in Israele (aliyah) si è attestata sulle 63 mila persone, 59 mila delle quali ebree. Nel contesto dell’immigrazione ebraica dagli altri Paesi verso Israele, Della Pergola sottolinea in particolare la grande ripresa degli arrivi da Ucraina e Russia, in seguito alla guerra che divampa dallo scorso febbraio. Da marzo si è registrata una sensibile crescita degli arrivi dall’Ucraina, dove la componente ebraica, naturalmente insieme al resto della popolazione, si è sentita in pericolo diretto. Parliamo di circa 40 mila persone.

Il professor Sergio Della Pergola ritratto nel suo studio a Gerusalemme. (foto Hadas Parush/Flash90)

«Più interessante ancora – soggiunge il demografo – è, a mio avviso, l’aumento di arrivi dalla Russia, perché il numero di persone che si spostano dalla Russia è nettamente maggiore rispetto a quello dall’Ucraina. Il dato ci dice da un lato di un diffuso senso di disapprovazione verso le politiche di Putin, dall’altro del timore per i propri figli verso i rischi connessi al servizio militare. Va anche ricordato che si prevede un forte aumento di questo tipo d’immigrazione fino alla fine del 2022».

Da ciò, osserva Della Pergola, si generano due fenomeni speculari. Mentre aumenta la popolazione ebraica in Israele, diminuisce quella negli altri Paesi: «Noto che, al ritmo attuale, la maggioranza dell’intera collettività ebraica mondiale finirà per trovarsi in Israele».

La natalità ago della bilancia

Un altro elemento da tenere in considerazione, spiega ancora il professore, è quello della natalità. Nel corso dell’anno passato, in Israele sono nati 177 mila bambini, mentre circa 53 mila persone sono morte (di cui circa 4mila a causa del Covid-19). L’aspettativa di vita media degli uomini israeliani è di 80,5 anni, rispetto agli 84,6 delle donne.

Israele si differenzia dagli altri Paesi sviluppati per una media delle nascite di 3 figli a nucleo familiare, contro la media di 2 degli altri Paesi (o addirittura quella di poco superiore a 1, che attualmente distingue l’Italia). «Con l’apporto di una natalità più robusta, come quella appunto israeliana, si assisterà a uno spostamento dell’equilibrio demografico dalla diaspora verso Israele», sottolinea Della Pergola.

La composizione della società

Il citato rapporto statistico riferisce inoltre che tra gli ebrei israeliani dai 20 anni in su il 45,3 per cento si definisce laico, il 19,2 per cento poco osservante, il 13,9 per cento tradizionale-religioso, il 10,7 per cento religioso e il 10,5 per cento haredi, cioè ultraortodosso

Anche su questo, Della Pergola fornisce alcune chiavi di lettura che permettono di andare oltre le percentuali: «Emerge senza dubbio il fatto che Israele è una società molto eterogenea. La minoranza araba rappresenta un po’ più del 20 per cento, e questa proporzione è destinata a rimanere sostanzialmente inalterata. La popolazione ebraica si divide tra una maggioranza laica, o poco religiosa, e una minoranza – che forma un gruppo piuttosto compatto e chiuso al suo interno – strettamente ortodossa. Il ritmo di accrescimento di quest’ultima, i cosiddetti haredim, è di oltre il 4 per cento all’anno».

Il rischio di un potenziale impoverimento

Com’è noto, per motivi di fede e di tradizione è usuale che gli uomini di questo gruppo studino a lungo, mentre solo le donne lavorano. Da ciò deriva una situazione di diffusa povertà, che pesa sul bilancio dello Stato: a un reddito molto basso di queste famiglie si accompagnano poi tanti figli. «Per dirla in modo semplice – puntualizza Della Pergola – se chi ha di meno cresce troppo, la cassa del Paese si svuota».

Le proiezioni restituiscono uno scenario in cui esiste questo potenziale impoverimento della società.

Si aggiunga inoltre il fatto che la maggioranza degli ultraortodossi è esente dal servizio militare, «un passaggio della vita che, in Israele, va oltre l’aspetto militare: favorisce infatti le reti sociali, la creazione di relazioni di amicizia e di lavoro».

Un elemento nuovo però – inaspettatamente – c’è: «Questo problema sta iniziando a essere compreso da buona parte di quello stesso pubblico ed esiste un movimento interno di trasformazione. Molto lento, ma c’è. Vedremo se prevarrà la scelta dell’inserimento nella società o quella di una chiusura», conclude il professore.

In attesa degli sviluppi futuri

Non manca, in tutto questo quadro, un cenno al ruolo della politica – con la quale questi dati necessariamente s’intersecano, sbandierati da una parte e dall’altra tra programmi, scambi e promesse elettorali – e alla mancanza della pace.

«Non è facile dare oggi una prognosi unica su Israele», sono le parole che chiudono la nostra telefonata. «Possiamo solo dire che dovremo vedere quale tra i fattori descritti prevarrà. Resta il problema serio dell’assenza di pace. Israele oggi non può abbassare la guardia né nei confronti dell’Iran né verso movimenti estremisti quali Hezbollah e Hamas. Questo stallo non permette a Israele di devolvere fondi dall’esercito alla società e provoca una potenziale paralisi…».


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