Sempre più donne palestinesi si aprono varchi in ambiti impensati. Spinte dal desiderio di autonomia e dall’esigenza di sbarcare il lunario a causa dell’alto tasso di disoccupazione anche fra padri, mariti e fratelli.
Ettihad Ayyad, 50 anni, prima imprenditrice agricola palestinese ad aver ottenuto la licenza di guida per un trattore a Gerico; Sandra Bali, 24 anni, prima infermiera palestinese ad esser divenuta autista di ambulanza dell’ospedale Ahli di Hebron; Wahiba Saleh e il suo staff del Centro sociale femminile di Askar, tra le prime attiviste ad aver abbattuto i costi dei consumi energetici nei campi profughi palestinesi grazie alle energie rinnovabili. Sono solo alcune delle pioniere palestinesi balzate agli onori delle cronache in questi mesi per aver infranto tabù di genere in mestieri generalmente ritenuti di esclusivo appannaggio maschile.
«Fin da quando ho preso la patente ordinaria nel 2018 ho sentito il desiderio di guidare un’ambulanza e poter soccorrere donne malate o ferite da portare in ospedale» ha raccontato Sandra al quotidiano Al Monitor. «Trovandomi spesso ad aiutare i medici nella medicina d’urgenza – ha aggiunto – so bene quanto le pazienti apprezzino di esser soccorse da un’altra donna, quanto questo le rassicuri e offra sollievo: il desiderio di essere ancora più utile in questa professione mi ha spinto ad iscrivermi quest’anno al corso di guida per le ambulanze e a sfidare i pregiudizi» ha detto l’infermiera.
Sempre nella zona di Hebron anche Ettihad Ayyad è stata elogiata dai suoi connazionali come «pioniera» per esser divenuta la prima donna ad aver ottenuto la licenza di guida per un trattore, con il quale ha trasportato nel mercato locale di Hisba i suoi cocomeri, pomodori e altre verdure. La sua storia è ancora più significativa considerato che la donna, che ha sempre lavorato nei campi prima con il padre e poi con il marito. Ettihad ha superato le difficoltà di imparare a guidare veicoli più moderni del suo per non essere ostacolata nella sua attività e per far studiare i sei figli. Anche perché nel frattempo ha assunto altre sei persone che lavorano con lei nella produzione di yogurt a base di frutta. «I miei erano poveri e mi hanno fatto concludere le scuole medie prima di farmi sposare giovanissima. Solo i miei fratelli maschi sono potuti andare all’università: a me non è stata data questa opportunità» ha raccontato la donna. «Mi piace l’agricoltura e ho sempre aiutato mio marito nei campi, ma volevo che i miei figli studiassero quanto volevano: per me è un vanto che oggi siano quasi tutti laureati».
Disoccupazione giovanile e femminile in crescita
Secondo gli ultimi dati pubblicati a marzo dall’istituto di statistica palestinese, la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è cresciuta di un punto percentuale nel 2021 rispetto al 2020 (dal 16 al 17 per cento), mentre quella degli uomini è salita al 69 per cento dal 65 per cento nel 2020. Tuttavia il tasso di disoccupazione femminile nei Territori occupati è balzato al 43 per cento nel 2021 contro il 22 per cento di quello maschile. Ancora più preoccupante è il tasso di disoccupazione giovanile schizzato a quota 53 per cento tra i giovani d’ambo i sessi diplomati o persino laureati tra i 19 e i 29 anni. L’aumento potrebbe però anche significare che molte più donne e molti più giovani sono attivamente alla ricerca di lavoro. Proprio per l’esigenza di arrivare alla fine del mese in molte cercano di infrangere i tabù di genere e ottenere risultati impensabili fino a pochi anni fa.
Pannelli solari nel Centro per le donne di Askar
Un’altra storia di successo contro ogni sorta di ostacoli è quella dell’installazione di pannelli solari del Centro sociale femminile del campo profughi di Askar, nei pressi di Jenin. L’associazione femminista è attiva dal 1967 con diversi partner per aiutare donne vittime di violenza, famiglie svantaggiate, disabili e per promuovere corsi di avviamento professionale. «Ci abbiamo messo quasi due anni, è la prima volta che un’iniziativa legata alla sostenibilità ambientale prende piede in uno dei nostri campi profughi» dice orgogliosa Wahiba Saleh, la direttrice. «Si tratta di un progetto che riconosce il ruolo delle donne come membri attivi della società e per il nostro contributo alla sostenibilità ambientale» aggiunge la manager in un rapporto dell’Unrwa che ha co-finanziato l’impresa e che ha coadiuvato il personale del Centro nella redazione del progetto e della richiesta di finanziamento.
Transizione ecologica anche nei campi profughi
Con un paziente lavoro di formazione, il centro si è concentrato negli ultimi anni sulle tecnologie ambientali per aumentare la consapevolezza e la resilienza climatica delle madri di famiglia. Nel 2018 l’ottenimento di un prestito di 20mila dollari da parte dell’ong canadese Grow per l’installazione di pannelli solari ha spianato la strada, dopo iniziali resistenze, a una collaborazione con la società elettrica locale per il passaggio alle energie rinnovabili. Dopo una lunga trattativa, il Centro ha ottenuto un accordo in base al quale i pannelli solari installati sul tetto avrebbero coperto i consumi elettrici della struttura e l’energia prodotta in più sarebbe stata sfruttata dalla compagnia elettrica anche come risarcimento dei debiti per le bollette non pagate dal Centro, che ammontavano all’equivalente di quasi 75mila euro. L’iniziativa si è così rivelata non solo sostenibile e benefica dal punto di vista ambientale, ma decisiva per tagliare i costi operativi dell’associazione.