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A Milano nuova sede e nuovo slancio per il Cdec

Giulia Ceccutti
19 luglio 2022
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A Milano nuova sede e nuovo slancio per il Cdec
Un momento dell'inaugurazione della nuova biblioteca del Cdec a metà giugno 2022 a Milano. (foto Enrico Miglietta/CDEC)

Da qualche settimana il Centro di documentazione ebraica contemporanea (Fondazione Cdec) ha trovato una nuova casa a Milano, nei pressi della Stazione Centrale, accanto al Memoriale della Shoah. Il direttore Gadi Luzzatto Voghera ci illustra la svolta.


«Un trasferimento necessario», così lo definisce Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione Cdec (Centro di documentazione ebraica contemporanea), il più importante istituto per la storia e la documentazione sulla Shoah in Italia, con sede a Milano. A lui – raggiunto al telefono – abbiamo chiesto di raccontare quale significato assuma per la Fondazione il recente trasferimento nel nuovo polo all’interno del Memoriale della Shoah, in piazza Edmond J. Safra 1, a pochi passi dall’ingresso principale della stazione Centrale.

La Fondazione – creata a Venezia nel 1955 per iniziativa della Federazione giovani ebrei d’Italia e trasferitasi a Milano dal 1965 – è stata ospitata per oltre sessant’anni in una palazzina di via Eupili, non lontano dall’Arco della Pace e da corso Sempione.

Tra conservazione, ricerca e didattica

Dal 21 giugno hanno aperto al pubblico, dopo lunghi lavori, la biblioteca e l’archivio nella nuova sede presso il Memoriale della Shoah che comprende anche gli uffici dei dipartimenti della Didattica e della Ricerca storica, oltre all’Osservatorio antisemitismo.

La Fondazione Cdec – che raccoglie migliaia di documenti (lettere, immagini, testimonianze) sulle persecuzioni antisemite in Italia e sul contributo ebraico alla Resistenza – è molto impegnata sul fronte della formazione. Ha avviato inoltre, per prima in Italia, un osservatorio per il monitoraggio degli episodi di discriminazione e lo studio del pregiudizio antiebraico nel nostro Paese. Attualmente sta partecipando a quattro differenti progetti nella cornice della strategia europea sul contrasto all’antisemitismo.

Uno spazio che si offre alla città

Pochi metri separano piazza Edmond J. Safra – una piazzetta ordinata, con alcune panchine che invitano a una sosta di riflessione – dal frastuono e dal viavai dei viaggiatori in arrivo o partenza. Due mondi solo apparentemente distanti: qui ha avuto luogo un pezzo di storia di Milano che tutti dovrebbero conoscere.

Il Memoriale sorge infatti dove, tra il 1943 e il 1945, migliaia di ebrei e oppositori politici furono caricati su vagoni merci – presso il binario 21 – e agganciati ai convogli diretti, fra gli altri, ad Auschwitz-Birkenau, Bergen Belsen, Mauthausen e ai campi italiani come Fossoli e Bolzano.

«Nel progetto iniziale del Memoriale era già prevista una biblioteca», continua Luzzatto Voghera, storico dell’ebraismo e dell’età contemporanea, alla guida del Cdec dal 2016. «È sembrato quindi naturale che ospitasse la Fondazione Cdec, la quale, dal canto suo, negli anni ha subìto grandi trasformazioni. Lo spostamento cambia sia la natura del Memoriale che quella del Cdec. Quest’ultimo viene così accolto in un contesto molto più ampio della precedente dislocazione (sono oltre 750 i metri quadrati totali – ndr), che comprende anche un’aula didattica, uno spazio mostre, un’agorà per realizzare iniziative. È inoltre uno spazio, visibile dalla strada, che si offre alla cittadinanza».

Naturalmente per la Fondazione muteranno – aggiunge il direttore – anche le modalità operative, perché «ora potremo fornire molti più servizi. Penso in particolare all’ambito della didattica, che senza dubbio sarà interessato da un’accelerazione».

Nuove contaminazioni

La biblioteca del Cdec si sviluppa su tre livelli – il piano terreno, visibile dalla strada, quello interrato e il mezzanino – e si configura come un ambiente piacevole e funzionale. Raccoglie 31mila monografie in varie lingue, 700 tesi di laurea e 2.000 testate di periodici sulla storia, la letteratura, il pensiero e la produzione artistica ebraica in Italia durante il Novecento (anche per questa raccolta è disponibile il catalogo online – ndr). Le 48 postazioni di lettura fanno da contraltare alle sole cinque disponibili della storica sede di via Eupili.

Un’altra istantanea dall’inagurazione della nuova sede della Fondazione Cdec nei pressi della Stazione Centrale di Milano. (foto Enrico Miglietta/CDEC)

«È evidente – commenta Luzzatto Voghera – che ora dobbiamo allargare i tempi a disposizione del pubblico, prolungando gli orari, e aprire la biblioteca a nuove contaminazioni. Diventerà, anche, una biblioteca di quartiere: immagino ad esempio che lo studente liceale del quartiere verrà qui a fare i compiti… Il nostro vasto patrimonio entrerà pertanto necessariamente in contatto con giovani che si occupano di altro».

La storia delle palazzine di via Eupili

Un passaggio necessario, si diceva all’inizio, che ci riporta a un altro tassello significativo per la storia di Milano.

«Nel corso degli anni – spiega il responsabile del Cdec – la Fondazione si era conformata nel suo modo di lavorare e di conservare il materiale agli spazi della palazzina di via Eupili 8. Ma quella villetta non si configurava come luogo adatto a un istituto di cultura. Era nata come sede della Comunità ebraica, poi modificata nel 1938 per ospitare la scuola ebraica, insieme alla villetta sua “gemella”, a due numeri civici di distanza».

Dal novembre del 1938, in seguito all’emanazione delle leggi antisemite e all’espulsione degli allievi e insegnanti ebrei da tutte le scuole pubbliche, la Comunità decise di accogliere in quella struttura i bambini e i ragazzi allontanati dalle scuole del Regno. Artisti ebrei allontanati dal mondo della cultura vennero coinvolti in attività culturali e corsi integrativi.

Le lezioni, tra mille difficoltà, si interruppero dopo l’8 settembre del 1943. La scuola riaprì solo dopo la Liberazione, ma la guerra e le persecuzioni razziali, nel frattempo, avevano causato un pesante bilancio di vittime. All’inizio degli anni Sessanta iniziò il progressivo trasferimento in un altro edificio, e la destinazione a sinagoga di una delle due palazzine. Nel 1965, come anticipato, aprì qui i propri uffici anche il Cdec, inizialmente al numero civico 6 e poi all’8.

Una rete di collaborazioni e progetti

Chiediamo a Luzzatto Voghera uno sguardo ai principali progetti in corso e in cantiere. «La progettazione qui è ininterrotta: è in qualche modo il nostro core business».

Tra i progetti di ricerca di lungo periodo ricordiamo quello sull’apporto ebraico alla Resistenza ed Edoth, che riguarda la memoria degli ebrei che fra gli anni Cinquanta e Sessanta lasciarono i propri Paesi d’origine (Libano, Siria, Egitto, Libia, Iran, Turchia) per cercare rifugio in Italia, a seguito principalmente del conflitto fra Israele e i Paesi arabi. È in corso poi, tra gli altri, un vasto lavoro sulle raccolte di filmati di famiglia degli anni Venti e Trenta, in collaborazione con il ministero della Cultura.

«Siamo il nodo italiano di una rete di istituti di ricerca che, in tutto il mondo, si occupano di documentazione, informatizzazione e condivisione di dati sulle tematiche legate alla storia ebraica», sottolinea infine, citando anche la consulenza offerta a ricercatori che vengono dall’estero e l’opportunità di borse di studio.

Insieme con il monastero di Camaldoli

In conclusione, è interessante menzionare anche le Settimane internazionali di studi sull’ebraismo italiano, iniziativa annuale organizzata dal Cdec in collaborazione con i Colloqui ebraico-cristiani di Camaldoli. Il seminario di quest’anno, conclusosi da poco, l’8 luglio scorso, è stato dedicato al contributo delle donne ebree d’Italia nel campo della cultura, dal 1860 ad oggi.

Al tema indagato quest’anno faranno seguito quello della musica, nel 2023, e – dal 2024 al 2028 – della letteratura, cinema, scuola e università, arti e politica.

L’idea è quella di proporre momenti di confronto interdisciplinare sulla variegata e complessa realtà dell’ebraismo italiano e la pluralità di interazioni con la società nel suo complesso.

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