(g.s.) – Cercavano di salpare con un’imbarcazione di fortuna da una spiaggia una trentina di chilometri a nord di Tripoli, quasi al confine libanese con la Siria. Sessantaquattro persone sono state fermate il 7 giugno 2022 dall’esercito mentre cercavano di lasciare via mare il Paese dei cedri. Del gruppo, forse diretto verso la vicina isola di Cipro o i più lontani approdi greci e italiani, facevano parte palestinesi, siriani e libanesi, tutti consegnati alla polizia per il tentativo di espatrio illegale. Solo una donna, incinta e in precarie condizioni di salute, è stata ricoverata in ospedale.
I media locali riferiscono che un numero crescente di libanesi, in questi mesi estivi, tentano di abbandonare il Paese allo sbando, come fanno tanti altri disperati dalle sponde meridionali ed orientali del Mediterraneo.
Il 23 aprile scorso un’imbarcazione fece naufragio a Qalamoun, a sud di Tripoli. Anche in quel caso le persone a bordo erano una sessantina: trenta sono ancor oggi disperse, di altre sei sono stati recuperati i corpi senza vita.
Alla devastazione bellica della Siria, iniziata nel 2011 e ancora ben lungi dal risolversi, nel 2019 è subentrata l’esiziale crisi economica e politica libanese. La valuta nazionale s’è svalutata di quasi il 95 per cento, l’inflazione annua è al 200 per cento e i libanesi poveri sono tre su quattro. La classe politica (in senso lato), largamente corrotta e responsabile del baratro in cui è finito il Libano, è abbarbicata alle rendite di posizione che le rimangono, sorda ad ogni richiesta di riforme e incapace di imboccare strade che implicherebbero il suo drastico ridimensionamento.
Suona strano che anche da queste coste del Mare Nostrum le persone pensino a fuggire?
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