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Amministrative in Cisgiordania, un candidato su quattro è donna

Manuela Borraccino
24 marzo 2022
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Il 26 marzo si vota per i consigli municipali di una cinquantina di comuni palestinesi, fra i quali Hebron e Nablus. Il 26,7 per cento dei candidati sono donne. Ma molte lamentano scarso sostegno dai partiti e dalle organizzazioni femminili.


È in programma sabato 26 marzo il secondo turno elettorale per la scelta di 50 consigli comunali nelle principali cittadine della Cisgiordania. In lizza ci sono anche 678 candidate, il 26,7 per cento dei 2.537 nomi che compaiono nelle 81 liste partitiche o di coalizione e nelle 178 liste civiche indipendenti, secondo i dati diffusi nelle scorse settimane dagli organi elettorali palestinesi.

Ad Al-Bireh sfida sulle competenze

Le elezioni locali fanno seguito al primo turno avvenuto lo scorso 11 dicembre nei paesi e villaggi, ed includono cittadine come Karamallah, al-Bireh, Hebron e Nablus. Proprio ad al-Bireh, nei pressi di Ramallah, è scesa in campo Rajaa Hamayel, presidente dell’Associazione delle imprenditrici palestinesi (Asala) e ricercatrice all’Università Bir Zeit, in corsa con la lista civica Al-Bireh brings us together (letteralmente «Al-Bireh ci riunisce»). La lista raduna diversi accademici ed esperti e punta sulle competenze dei candidati per offrire un contributo tecnico qualificato ai servizi municipali.

È stato proprio il desiderio di cambiare le cose e la delusione per la precedente giunta municipale ad aver convinto l’imprenditrice a proporre la propria candidatura. Con l’avvicinarsi dell’appuntamento con le urne, la studiosa esprime un certo disappunto verso il coinvolgimento delle organizzazioni di donne per aumentare la partecipazione femminile alle elezioni. «Personalmente non ho ricevuto alcun aiuto dalle organizzazioni di donne, né ho visto alcun tentativo di comunicare con le candidate donne» ha confessato al quotidiano Al Monitor.

Aumentare donne elettrici ed eleggibili

Secondo Diala Ghattas, 32enne ricercatrice sociologa candidata dell’omologa lista «Betlemme ci raduna», le istituzioni non hanno fatto abbastanza per promuovere la partecipazione femminile alle elezioni. Alcune istituzioni forniscono supporto morale, ma non economico. Altre sostengono solo candidate donne con orientamento politico in linea con il proprio. «Sforzi ben maggiori – osserva Ghattas – devono esser dispiegati in una società patriarcale come la nostra».

Tra i principali già in atto c’è il progetto portato avanti dalla Società delle lavoratrici palestinesi per lo sviluppo (Pwwsd) in collaborazione con la Fondazione internazionale del partito di centro svedese (Cis). L’iniziativa vuole incoraggiare le donne a partecipare alla vita pubblica, candidarsi agli incarichi e votare: uno degli obiettivi è aumentare fino al 30 per cento la quota di donne candidate. La coordinatrice Samar Hawash spiega che l’associazione lavora da anni a formare dei consigli comunali “ombra” composti da sole donne. Opportunità di formazione per le elettrici e future candidate. I programmi dell’associazione puntano inoltre a monitorare il lavoro dei consigli comunali da una prospettiva di genere.

Ripartire dal lavoro

Secondo Hassan Mahariq, direttrice del dipartimento politico dell’organizzazione palestinese Miftah per la promozione del dialogo e la democrazia, ci sono diverse ragioni dietro la bassa partecipazione delle donne alle elezioni. Uno dei fattori politici è l’assenza di un vero processo democratico nelle elezioni legislative e presidenziali e la marginalizzazione di alcuni partiti politici dal regime politico dominante. Al di là dell’aumento delle quote rosa al 30 per cento, chiosa, perché avvenga un cambiamento culturale è necessario espandere l’economia palestinese e dare molto più spazio alle donne, così che entrino anzitutto nel mercato del lavoro. Con tutta l’autonomia e capacità di incidere sulla realtà che ne consegue.

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