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Ad Arsuz, in Turchia, riaffiora un mosaico votivo

Aristide Malnati e Virginia Reniero
14 marzo 2022
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Ad Arsuz, in Turchia, riaffiora un mosaico votivo
Il mosaico riportato alla luce negli scavi della chiesa dei Santi Apostoli ad Arsuz, in Turchia (foto AA)

Dagli scavi nel complesso di un'antica chiesa bizantina non lontana dall'antica Antiochia, riemerge un variopinto mosaico musivo voluto da uno schiavo cristiano tornato libero. Una sorta di ex voto per grazia ricevuta.


Una testimonianza di autentica fede cristiana ritorna eloquente dopo secoli di oblio. Nel corso dell’ultima campagna di scavi archeologici ad Arsuz, cittadina portuale della Turchia meridionale vicino al confine con la Siria (distante poco decine di chilometri dall’antica Antiochia), è emerso un ampio mosaico databile, su base stratigrafica, al VI secolo dopo Cristo.

Il reperto, ancora interamente conservato, era parte della pavimentazione interna di una chiesa cristiana, oggi chiamata dei Santi Apostoli (mentre anticamente era detta «dei Tre apostoli»), che verosimilmente, data la sua imponenza, era centro di preghiera e fulcro dell’attività della vasta comunità di fedeli di tutta la zona. Anni di lavoro archeologico hanno consentito di individuare parte delle due navate laterali e di quella centrale, la zona dell’abside con l’altare e la sezione vicino all’ingresso.

Il mosaico si trova in una sezione laterale, più prossima all’ingresso che al presbiterio: è un’opera di squisita fattura, che mostra immagini di santi in Paradiso e altri temi biblici, ma anche figure allegoriche dell’iconografia cristiana, a cominciare da tre splendidi pavoni, ricchi di dettagli e dai colori vivaci. Va ricordato che sin dai primi secoli il pavone nella primitiva simbologia cristiana significa la risurrezione e la vita eterna. Una simile valenza, radicata anche nelle religioni pagane del mondo classico, si fondava sull’evidenza che la carne di questo uccello dopo la morte non andava subito in decomposizione, ma si conservava a lungo. Ecco perché i primi cristiani, che setacciavano la cultura greca e romana in cerca di riferimenti a valori precisi, lo adottarono come rimando alla risurrezione e all’esistenza gloriosa ed eterna di Cristo; ed ecco perché il pavone, con tutta la propria austera eleganza, è rappresentato all’interno dei mosaici del cristianesimo primitivo. In questo mosaico, poi, i pavoni sono addirittura tre, un numero con evidente richiamo alla Trinità, quasi a voler conferire maggior importanza all’opera e al suo intento.

Intento che capiamo perfettamente dall’iscrizione in greco bizantino, interamente leggibile, che campeggia ai piedi dell’intero quadro musivo. Un testo che contiene il ringraziamento di un giovane schiavo, affrancato dal suo dominus e in seguito, dopo un breve periodo nella condizione semiservile di liberto, insignito della cittadinanza dell’Impero bizantino. Lo schiavo ringrazia sì il proprio antico padrone, benefattore nei suoi confronti, ma ringrazia soprattutto Dio e il Signore Gesù che gli hanno reso possibile il conseguimento della libertà. Il giovane promette di seguire gli insegnamenti cristiani (come sempre aveva fatto) e di dedicarsi quotidianamente alla preghiera proprio nella chiesa dei Tre apostoli, al cui interno aveva fatto realizzare il mosaico e l’iscrizione da poco ritrovati. Infine, nell’ultima parte dell’iscrizione, il giovane neocittadino dell’Impero romano d’Oriente si impegna dare esempio di Fede salda per il resto dei suoi giorni, impegnandosi a diffondere il messaggio del Vangelo nella regione circostante.

Questo testo di ringraziamento per una grazia ricevuta si aggiunge al corpus delle iscrizioni cristiane ritrovate soprattutto tra Ottocento e Novecento nei siti archeologici di Antiochia e nelle vicinanze, dove la religione cristiana arrivò subito nel I secolo e dove si radicò una comunità molto fervente e di elevato spessore teologico. Ayse Ersoy, direttrice del Museo archeologico della provincia di Hatay (circoscrizione amministrativa che comprende Arsuz ed ha come capoluogo Antakya), si dice convinta che una volta portate a termine le indagini archeologiche dell’intero complesso ecclesiastico nuovi mosaici e iscrizioni verranno recuperati: «tutti reperti in grado di allargare le nostre conoscenze sulla Chiesa di Antiochia durante il primo periodo bizantino».

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