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Come mai Arabia Saudita e Iran ora si parlano

Fulvio Scaglione
24 febbraio 2022
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Sembra davvero cambiato il clima tra Teheran e Riyadh. Dal muro contro muro di qualche anno fa, ai canali di dialogo aperti ai giorni nostri. Frutto di realismo e delusioni. Sono fondamenta salde per la pace?


In Medio Oriente scoppia la pace? La Turchia sta riaggiustando i rapporti con gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto ed Israele. Con lo Stato ebraico le monarchie del Golfo Persico vanno concludendo accordi sempre più stretti, dopo aver messo fine alla faida interna e chiuso nel 2021 l’embargo decretato nel 2017 contro il Qatar. Ma il caso più sorprendente è quello del disgelo tra Arabia Saudita e Iran, che rappresentano il regno del sunnismo wahabita e la repubblica dello sciismo, il primo alleato arabo degli Usa e loro il primo nemico non arabo, la famiglia principesca del petrolio e i chierici del gas.

Il segnale del cambiamento sta tutto in due dichiarazioni di Mohammed bin Salman, principe ereditario e uomo forte dell’Arabia Saudita. Nel 2017 diceva: «Sappiamo di essere un bersaglio importante per l’Iran. Ma non aspetteremo che la guerra arrivi in Arabia Saudita; faremo di tutto perché vada da loro, in Iran». Alla fine del 2021, invece: «L’Iran è un vicino con cui cerchiamo di avere buone relazioni». Javad Zarif, ministro degli Esteri dell’Iran, non ha tardato nel reciprocare (e lo ha fatto, per di più, durante una visita in Siria, in casa di quel Bashar al-Assad separato dai sauditi da una lunga stagione d’odio), e ora tutti attendono il primo incontro diretto tra le due diplomazie, fissato per aprile.

Certo, anche nel 2005-2006, all’alba della sua ascesa, il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad fece le sue capatine a Riyadh (Arabia Saudita) e Doha (Qatar), e poi finì come finì. Ma sono passati quasi vent’anni e le condizioni sono ben diverse. Soprattutto, i due Paesi hanno sperimentato tutta la difficoltà che comporta un’ambizione forse sproporzionata alle risorse e alle capacità.

I sauditi si confrontano con uno spettro: la ritirata dal Medio Oriente degli Usa, impegnati a spostare attenzione e capacità verso l’Asia per contrastare la sfida cinese e verso l’Europa per contenere la Russia di Putin. Il tutto mentre le ambizioni di potenza dei sauditi si sono infrante contro l’appoggio russo e iraniano che ha salvato Assad in Siria e contro la resistenza degli Houthi nello Yemen, sostenuti di nuovo dagli iraniani.

L’Iran, a sua volta, ha sperimentato il costo dell’ostilità Usa dopo la disdetta dell’accordo sul nucleare decisa da Donald Trump. E sanno che Joe Biden non ne firmerà uno nuovo finché le sue sponde in Medio Oriente, Israele e Arabia Saudita appunto, non si sentiranno garantite rispetto a quella che considerano la prima tra le minacce: un Iran dotato di armi atomiche.

Il riavvicinamento tra sauditi e iraniani, dunque, è la somma di due delusioni. E come tale ha per ora ha fondamenta fragili. Ma è una condizione che segna questa fase particolare della vita del Medio Oriente. La Turchia, per fare l’esempio di un altro Paese di grandi ambizioni, sarebbe certo meno amichevole con le petromonarchie del Golfo Persico se non fosse tormentata da una crisi economica che pare infinita e non cercasse sollievo nella collaborazione di Paesi dotati di grande riserve di valuta. Anni di guerre e di faide hanno sfiancato tutti senza che alcuno potesse alla fine sentirsi vincitore. È il momento, a quanto pare, di tirare i remi in barca.

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