Non poteva che essere un “uomo-ponte” Bruno Hussar (1911-1996). Sentiva di doverlo ai dati determinanti della sua biografia: l’essere ebreo ed israeliano (dal 1966), nato però in Egitto, convertitosi al cattolicesimo in Francia e diventato domenicano nel dopoguerra. Il suo profilo era d’altronde anche più complesso di così. Annotava egli stesso: «Nel 1937 ottenni la cittadinanza francese. Nato in Egitto, ero stato cittadino ungherese, poi italiano. I miei genitori erano ebrei, non praticanti, e la mia lingua materna era stata prima l’inglese, poi il francese. Gli studi secondari li avevo fatti nel liceo italiano del Cairo».
La prima edizione di questo libro, che potremmo considerare un’autobiografia spirituale e intellettuale, uscì in francese nel 1983 e fu tradotta in italiano dall’editore Marietti (marchio acquisito nel 2017 dal Centro editoriale dehoniano di Bologna). Oggi – su impulso dell’Associazione italiana amici di Neve Shalom Wahat al-Salam – le Edizioni Dehoniane ripropongono l’opera a partire dalla seconda edizione francese, del 1988.
Il racconto in prima persona si snoda ripercorrendo le tappe fondamentali della biografia dell’autore. Soprattutto quelle della vita adulta in Israele, dove Hussar immigra nel 1953, pochi anni dopo la nascita dello Stato. Lì è tra i sacerdoti che danno vita, nel 1955, all’Opera San Giacomo, «una comunità di Chiesa per cattolici di lingua ebraica», oggi più che mai vitale. «Qualche anno più tardi – scrive nella Presentazione Brunetto Salvarani – sempre a Gerusalemme (è il 1960), lo ritroviamo fra i tre religiosi domenicani che creano la Maison Saint-Isaïe (Casa Sant’Isaia), spazio qualificato per l’insegnamento della Bibbia nella Terra Santa, quindi a Roma tra i padri conciliari a collaborare appassionatamente alla dichiarazione Nostra aetate (in particolare al paragrafo 4)». Nel 1972 Hussar fonda il villaggio cooperativo di Neve Shalom – Wahat al Salam, che oggi raccoglie 76 famiglie (circa 350 persone) con parità numerica fra ebrei e arabi (giudei, cristiani, musulmani o agnostici che siano).
Tra gli estimatori del domenicano c’è anche il cardinale Carlo Maria Martini, che in un biglietto di saluto inviato a un convegno milanese dell’Associazione italiana degli amici di Neve Shalom Wahat al Salam nel 2011 scriveva: «[Hussar] nella pratica divenne soprattutto un uomo di pace, che aveva l’arte di portare la pace nella gente. Oggi soprattutto bisogna interrogarsi su quali sono quelle forze che spingono la gente a credere nella guerra».
L’intellettuale ebreo Bruno Segre nella sintetica Postfazione riprende, il tema richiamando alcuni degli insegnamenti fondamentali del magistero di padre Bruno. Riletti in questo bellicoso e acerbo 2022, suonano di un’attualità bruciante: «La pace si fa con il nemico, va costruita e ricostruita sempre, senza sosta, con i mezzi della pace, con gli atti e con le parole, giorno dopo giorno. La pace si può, si deve insegnare».
Guardandosi indietro a considerare le imprese di una vita, Hussar nel libro confessa: «Mi è stato chiesto di scrivere queste pagine per dare ragione di ciò per cui vivo o, meglio, ciò che io vivo. (…) Ho parlato dei vari scopi per i quali ho vissuto. (…) Al di là di ogni tappa particolare, vivevo e vivo sempre per Israele e per la sua pienezza, per la Chiesa e per la sua pienezza, per la riconciliazione, la pace e la comunicazione fraterna tra i figli di Abramo, perché la Buona Novella dia vita al mondo…». (g.s.)
Bruno Hussar
Quando la nube si alzava
L’uomo dalle quattro identità
Edb, 2022
pp. 166 – 16,00 euro