(c.l./g.s.) – A venticinque anni dalla sua scoperta, l’antica chiesa di Jabaliya – in località el-Mukheitim, 4 chilometri a nord di Gaza City – sta vivendo una nuova vita. Dopo un ampio progetto di restauro durato più di tre anni, il 24 gennaio scorso si è svolta la cerimonia di apertura al pubblico del sito archeologico, sotto l’egida del ministero del Turismo e delle Antichità di Gaza e alla presenza dell’arcivescovo greco-ortodosso locale Alexios. I primi visitatori hanno potuto ammirare i resti di questa chiesa edificata nella seconda metà del V secolo su una superficie di circa 800 metri quadrati. Con il monastero di Sant’Ilarione, la chiesa rappresenta l’unico altro sito archeologico cristiano accessibile al pubblico nell’enclave palestinese.
In origine, la chiesa, il cui coro è rivolto a est, si trovava in un vecchio cimitero alla periferia di Gaza, sulla strada per Gerusalemme. «Una famiglia benestante aveva fatto costruire il santuario in memoria di un defunto», spiega sul suo sito internet l’ong francese Première Urgence Internationale, che ha restaurato la chiesa in collaborazione con l’Ecole biblique et archéologique française di Gerusalemme e con il sostegno finanziario di un fondo del British Council per la protezione del patrimonio culturale, che ha contribuito al progetto con 250mila dollari, riferisce l’Agenzia France Presse.
Un bestiario caleidoscopico
La chiesa, lunga 23 metri e larga 13, è costituita da una navata centrale affiancata da altre due laterali e più piccole, pianta tipica dello stile basilicale in epoca bizantina. Una dozzina di colonne di marmo separavano le tre navate, la sommità di ogni colonna aveva un capitello frondoso. Sul lato nord la chiesa comunicava con una cappella, annessa a un grande battistero che integrava il complesso racchiudendo un fonte a forma di croce. La presenza del battistero «segnala la grande importanza religiosa del sito per i pellegrini», rimarca Première Urgence Internationale.
I tre edifici sono ancora oggi pavimentati con 400 metri quadrati di mosaici. Un tappeto realizzato con piccoli frammenti di basalto, marmo, vetro e ceramica, che è stato – come l’intera chiesa – gravemente danneggiato «dal passaggio di carri armati durante la guerra del 2012», spiega l’ong francese. Da allora i resti delle pareti e del pavimento a mosaico sono stati restaurati e ora sono protetti da un’ampia copertura, almeno per prevenire i danni delle intemperie.
Percorrendo le nuovissime passerelle lignee sopraelevate, i visitatori possono ora gettare lo sguardo anche su un caleidoscopio di tessere colorate in cui i motivi geometrici, la fauna e la flora sono in primo piano. Qui palme da dattero, alberi da frutto, grappoli d’uva, là scene di caccia; scene agresti con cesti per la raccolta della frutta o vasi si alternano a leoni, gazzelle, selvaggina, conigli, pesci, uccelli, pavoni, mucche al pascolo, capre e animali domestici, come cavalli o cani.
Una profusione di nomi e date
Sul pavimento sono riprodotti anche 17 medaglioni, ovali o rettangolari, che circondano iscrizioni in greco antico. Scritti e datati, leggiamo nomi di vescovi, sacerdoti e benefattori, accanto a testi di preghiere. L’iscrizione più antica menziona un certo vescovo Zanobi con la data 496/7. Più volte è citato il vescovo Marciano, nel VI secolo. Risale al 732 il riferimento al vescovo Sergio. Prova che la comunità cristiana a Gaza esisteva ancora all’inizio dell’era islamica. I medaglioni con le date permettono di seguire l’evoluzione dei rimaneggiamenti subiti dalla chiesa e dalle annesse cappelle.
Anche l’aula del battistero era pavimentata con mosaici geometrici e figurativi molto belli. Ai quattro angoli della vasca battesimale erano rappresentati altrettanti animali esotici: un elefante, una giraffa e forse un leopardo e una zebra. Tra gli animali c’erano alberi da frutto e la personificazione dei quattro fiumi del Paradiso terrestre (Pison, Ghicon, Tigri ed Eufrate): di questi, solo due sono giunti sino a noi.
Alcuni dei mosaici contengono, infine, indicazioni sugli artigiani che li realizzarono, come quello firmato «Opera dei mosaicisti Vittore e Cosma di Ascalon». Datato 548/9, menziona chiaramente Ashkelon, che si trova a meno di trenta chilometri a nord di Gaza City.
Un motivo di rammarico si affianca alla gioia per la recente apertura al pubblico di queste vestigia: l’impossibilità di offrirle anche agli occhi dei visitatori stranieri, per via delle condizioni belliche che continuano a tenere la Striscia di Gaza chiusa al resto del mondo.
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Ultimo aggiornamento: 31/01/2022 10:26