Solo di recente si è scoperto che il suo vero nome è Ahmed al-Sharaa. Il capo delle formazioni islamiste asserragliate nella provincia siriana di Idlib è cresciuto in una famiglia borghese di Damasco. Ha un percorso di vita simile a quello di altri capi islamisti «dotti».
I siti internet di notizie dal Medio Oriente – come quelli di altri Paesi specializzati su quell’area – negli ultimi tempi si sono spesso occupati di Abu Mohammad Al-Jolani, che in Siria, nella provincia di Idlib, è il leader di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), la formazione islamista nata nel 2017 dall’unione di Al Nusra e di altri più piccoli gruppi e che oggi, di fatto, controlla l’intera area. Il vero nome del guerrigliero è Ahmed al-Sharaa. È stato lui stesso a rivelarlo l’estate scorsa, aggiungendo di essere figlio di Hussein Alì al-Sharaa, un economista. Da questi particolari si è partiti per ricostruirne l’intera biografia, che per molti aspetti è davvero sorprendente.
Al-Jolani, che vuol «originario del Golan», si è dato questo nome benché sia nato a Riyadh, in Arabia Saudita, nel 1982 per rendere omaggio alla regione nel Sud della Siria che dal 1967 è occupata da Israele. Suo padre, infatti, viveva nella città di Fiq e la lasciò proprio a causa dell’arrivo degli israeliani. Andò in Iraq a studiare economia all’Università di Baghdad, per tornare in Siria nel 1972, proprio in coincidenza con il golpe militare che portò al potere Hafez al-Assad, il padre dell’attuale presidente Bashar. Alì Hussein aveva un buon posto come funzionario del ministero del Petrolio, ma presto cominciò a trovarsi in dissenso con le politiche del partito Ba’th siriano e decise di emigrare di nuovo, questa volta, appunto, verso l’Arabia Saudita. Negli anni Ottanta, oltre al futuro terrorista Al-Jolani, Alì Hussein diede vita anche a quattro libri dai titoli più che significativi: Petrolio e sviluppo del mondo arabo; Il futuro dello sviluppo dell’Arabia Saudita; L’economia saudita e il processo di costruzione delle infrastrutture di base e Grandi trasformazioni e sfide per il futuro. Volumi tutti dedicati al tema dello sviluppo del mondo arabo sullo sfondo dello sfruttamento delle risorse petrolifere.
Alla fine degli anni Ottanta Alì Hussein tornava in Siria. Il piccolo Al Jolani è cresciuto bambino e adolescente in uno dei quartieri borghesi della capitale Damasco, dove il padre era diventato consigliere per gli affari petroliferi del primo ministro Al-Zuabi. Più tardi Ahmed si iscrive alla facoltà di Medicina che frequenta per due anni. Ma è ormai il 2003, c’è l’invasione anglo-americana dell’Iraq e il richiamo della lotta armata è troppo forte. Va in Iraq, combatte, viene catturato, passa per il campo di prigionia di Al Bukka (lo stesso in cui sconta la sua pena lo pseudo califfo Abu Bakr al-Baghdadi), viene liberato e il resto è più o meno storia nota.
Come si vede, la biografia di uno dei terroristi più ricercati del momento non rimanda ai quartieri-ghetto di cui sono disseminate le grandi capitali del Medio Oriente, non sa di povertà o disperazione e nemmeno di un’educazione segnata da una visione integralista o estremista dell’islam, o da particolari tragedie. Quella di Al Jolani sembra piuttosto una scelta di vita con una base intellettuale. Nella classica tradizione di tutte le formazioni islamiste che, al vertice, hanno alternato capi «dotti» (dal prototipo saudita Osama bin-Laden con le due lauree, in ingegneria e in amministrazione aziendale, all’egiziano Al Zawahiri, che era medico, fino all’iracheno Abu Bakr al-Baghdadi, che era avvocato) a uomini d’arme come il giordano Abu Mus’ab al-Zarkawi, che appunto veniva da Zarqa, povera città industriale a nord di Amman, sede di uno dei primi campi profughi per palestinesi dopo il 1948. Un’alternanza che dovremmo studiare e che forse ci direbbe qualcosa delle dinamiche interne ai gruppi terroristici. Con una considerazione: i capi «dotti», in genere, sono durati più a lungo.