«Donne» nella Costituzione giordana, dopo una rissa in Parlamento
Dibattito parlamentare finito a pugni e ceffoni per far passare l’emendamento alla Costituzione che cita espressamente le donne accanto agli uomini come soggetti dei diritti e dei doveri dei cittadini.
Il 2022 in Giordania è iniziato con l’approvazione di un emendamento di carattere simbolico alla Costituzione del regno hashemita sui diritti delle donne, che aveva provocato pochi giorni prima una rissa tra parlamentari, le cui immagini sono subito diventate virali. E che bastano da sole ad indicare quanto il tema sia incandescente. Lo scorso 2 gennaio 94 membri su 130 della Camera bassa hanno infine votato a favore dell’aggiunta nel titolo del secondo capitolo della Costituzione giordana che è così divenuto «Diritti e doveri degli uomini e donne giordani» invece del semplice «Diritti e doveri dei giordani» che anche in arabo sarebbe stato declinato nella forma generica maschile.
Soltanto «uguaglianza linguistica»
La scazzottata, che per fortuna non ha provocato feriti, è scoppiata quando un parlamentare ha rifiutato di scusarsi con un collega conservatore con il quale c’era stato uno scambio di accuse sulla valutazione che l’emendamento non offra nulla più che una mera «uguaglianza linguistica».
In Giordania appena 15 parlamentari su 130 sono donne (l’11,5 per cento, in Italia sono il 35 per cento). Fra di loro figura la ministra per gli Affari legali e statali Wafa Bani Mustafa che ha combattuto indefessamente per i diritti e la sicurezza delle donne sul lavoro. Le giordane godono, almeno sulla carta, di pari diritti con gli uomini nell’istruzione, partecipazione politica, occupazione e assistenza sanitaria, ma non hanno gli stessi diritti civili e non possono estendere la propria nazionalità a figli e coniugi.
Diritto di famiglia saldamente in mano ai religiosi
L’attuale testo della Costituzione rivolge un singolo riferimento diretto ai diritti delle donne quando, all’articolo 23, cerca di stabilire condizioni speciali per il lavoro di donne e giovani. Musa Maaytah, ministro degli Affari parlamentari, in una dichiarazione all’agenzia di stampa governativa Petra ha asserito che aggiungere «alle donne giordane» al titolo rappresenta «una forma di omaggio e rispetto per le donne». In realtà, parlando con altre testate, il ministro ha poi ammesso che l’emendamento non ha alcun effetto sul piano legale. Si è anche affrettato a definire «ingiustificate» eventuali preoccupazioni tra i conservatori su potenziali effetti sul diritto di famiglia, visto che temi come il matrimonio, il divorzio e l’eredità sono gestiti esclusivamente dalle corti giudiziarie islamiche.
Per alcuni «immorale», per altri «è maquillage»
Secondo l’agenzia Petra l’emendamento fa parte di un pacchetto di misure chieste dal governo al sistema legislativo sulla base di un elenco di raccomandazioni del comitato reale incaricato di formulare delle proposte per modernizzare la vita politica e sviluppare la legislazione nel Regno. Alcuni parlamentari conservatori hanno bollato la legge come «contraria alla moralità e alla maternità», altri hanno accusato il governo di chinare il capo di fronte alle pressioni delle agenzie di donatori e altri ancora l’hanno definita «chirurgia estetica per compiacere la comunità internazionale».
Sarà anche una questione di parole, ma le parole hanno un peso e il pensiero non può non correre al lavoro delle cinque «madri costituenti» della Repubblica italiana (Teresa Agamben Federici, Angela Gotella, Nilde Iotti, Lina Merlin, Teresa Noce) che all’indomani dell’elezione dell’Assemblea costituente nel referendum del 2 giugno 1946 entrarono nella Commissione dei 75 incaricati di redigere la Carta Costituzionale. Alla concretezza del loro pensiero e alla loro determinazione si deve la formulazione avanzata di articoli cruciali della Costituzione repubblicana, in particolare gli articoli 3, 29, 31, 37, 51 che hanno rappresentato la base di tutte le leggi sulle pari opportunità.
Memorabile il resoconto che la senatrice Lina Merlin traccia nella sua biografia circa la proposta da lei avanzata di introdurre la dicitura «senza distinzione di sesso…» nella formulazione dell’articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di razza, di lingua, di religione…». «Alcuni colleghi – scrive – osservarono che con le parole “tutti i cittadini” si indicavano uomini e donne, il mio emendamento era dunque superfluo». Con un’arringa infuocata, la Merlin insistette «anche in vista degli sviluppi d’ordine legislativo che ne seguiranno». L’emendamento fu accettato e costituì tra l’altro la base per la legge che porta il suo nome: presentata il 6 agosto 1948, approvata soltanto dieci anni dopo, la legge n. 75/1958 che portò alla chiusura delle case chiuse restituì la dignità a migliaia di italiane schedate come prostitute.