L’acquedotto di Biar era il più sofisticato degli acquedotti che, duemila anni fa, rifornivano d’acqua Gerusalemme. Correndo per cinque chilometri, era tuttavia il più breve. Portava l’acqua dal sud di Betlemme fino alle piscine di Salomone. Lì subentravano altri acquedotti che portavano quindi l’oro blu a Gerusalemme.
La struttura dell’acquedotto comprendeva la sorgente stessa di Biar, un tunnel sotterraneo lungo circa tre chilometri che raccoglieva le acque sotterranee, una diga, un canale di superficie e un altro tunnel che attraversava un crinale. Ciascuno dei cinque elementi svolgeva un ruolo specifico nella raccolta, nella conduzione e nel controllo dell’acqua.
Un nuovo studio pubblicato nell’ultima edizione della rivista Geoarchaeology (11/12-2021) riporta i risultati degli scavi intrapresi da Azriel Yechezkel dell’Università Ebraica di Gerusalemme, nell’ambito dei suoi studi di dottorato, in collaborazione con Yoav Negev, direttore del Gruppo speleologico israeliano, e con i colleghi dell’Università Ebraica Amos Frumkin e Uzi Leibner.
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Lo studio archeologico, effettuato lungo oltre 1.200 metri accessibili nel cunicolo sotterraneo, in mezzo ad acque fangose, attribuisce a Ponzio Pilato la costruzione dell’acquedotto di Biar.
Finora l’acquedotto era stato datato tra il periodo asmoneo, II secolo a.C., e la fine del periodo romano, II secolo d.C., passando per l’epoca di Erode. Alla fine, utilizzando la datazione al carbonio-14 per studiare campioni di intonaco all’interno del tunnel, i ricercatori sono giunti alla conclusione che l’acquedotto di Biar sia stato costruito nella prima metà del I secolo d.C. Fu poi ristrutturato ai tempi di Aelia Capitolina, il nome dato a Gerusalemme dopo la sconfitta della ribellione di Bar Kokhba (terza guerra giudaica) nel II secolo d.C.
Una conferma di Flavio Giuseppe?
Per i ricercatori, l’acquedotto di Biar potrebbe quindi essere lo stesso attribuito dallo storico ebreo Flavio Giuseppe a Ponzio Pilato, governatore romano della Giudea dal 26/27 d.C. al 36/37 d.C., sotto l’impero di Tiberio. Se, da un punto di vista storico, Pilato è noto soprattutto per il suo ruolo nel processo a Gesù, «dal punto di vista archeologico, è chiaro che l’amministrazione di Pilato si occupò dello sviluppo delle infrastrutture urbane [come] l’approvvigionamento idrico e la rete stradale», ha sottolineato sulle pagine di Haaretz Orit Peleg-Barkat, dell’Istituto di Archeologia dell’Università Ebraica.
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Nel libro XVIII (60-62) delle Antichità giudaiche, Flavio Giuseppe scrisse che Pilato utilizzò il tesoro del Tempio per costruire un acquedotto. «[Pilato] prese dal sacro tesoro il denaro per la costruzione di un acquedotto per condurre l’acqua a Gerusalemme allacciandosi alla sorgente di un corso d’acqua distante di là ben duecento stadi. I giudei però non aderirono alle operazioni richieste da questo lavoro e, raccoltisi insieme in molte migliaia, con schiamazzi gli intimavano di desistere da questa impresa. Taluni di costoro, urlavano insulti, ingiurie e villanie come suole fare l’adunanza di una folla». Secondo Flavio Giuseppe, Pilato previde la manifestazione e ordinò ai suoi soldati di mischiarsi nella folla travestiti da ebrei, per colpire chiunque gli gridasse contro. Al suo segnale, i soldati «li colpirono molto più di quanto ordinato da Pilato (…); ma i giudei non calmarono la loro fierezza, e così, colti disarmati com’erano da uomini preparati all’attacco, molti rimasero ammazzati sul posto, mentre altri si salvarono con la fuga. Così terminò la sommossa».
Un’opera all’avanguardia
Gli archeologi hanno inoltre stabilito che l’acquedotto è stato reso possibile da «avanzate capacità idrogeologiche e ingegneristiche». Sebbene l’acquedotto attingesse l’acqua direttamente dalla sorgente di Biar, il suo progetto ha permesso di catturare e deviare anche le acque sotterranee e di superficie, fornendo così a Gerusalemme più di sette volte il flusso annuale dalla sola sorgente originaria.
La ricerca ha anche rivelato che gli ultimi 500 metri del tunnel presentavano progetti di copertura specifici, destinati a superare i carichi fisici e/o idraulici che gravavano sul cunicolo. Nelle sezioni in cui il substrato roccioso era stabile, l’intero tunnel è stato scavato direttamente nella roccia. Nelle zone in cui la roccia era più fragile, il tunnel era costruito come una trincea con un complesso sistema di copertura in pietra tagliata per proteggerlo da possibili crolli. Questa tecnica moderna fu citata per la prima volta negli scritti dell’architetto romano Vitruvio (80 ca. – 15 a.C.).
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