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In Israele il partito Ra’am centra un obiettivo

Fulvio Scaglione
10 novembre 2021
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Con l'approvazione della legge di bilancio in Israele, un partito che è espressione della minoranza araba ha concretamente contribuito a indirizzare la politica dell’esecutivo. Tra mille contestazioni.


Avevamo raccontato qui, a suo tempo, del piano di sviluppo delle aree abitate dagli arabi israeliani inserito dal governo Naftali Bennett nella legge di bilancio dello Stato di Israele per i prossimi anni. Sempre qui, nel blog La porta di Jaffa, è stata analizzata l’importanza dell’approvazione di quella legge, avvenuta nei giorni scorsi, per il futuro politico di Israele.

Vale la pena di tornare nuovamente sull’argomento, però, per studiare le reazioni al ruolo decisivo che con i suoi quattro deputati, prima nella formazione del governo di coalizione e ora nell’approvazione della legge di bilancio, ha avuto il partito islamista Ra’am, guidato da Mansour Abbas. Per la prima volta, infatti, un partito che è espressione della minoranza araba di Israele ha concretamente contribuito a indirizzare la politica dell’esecutivo israeliano, portando le istanze di quel segmento della popolazione al tavolo delle decisioni.

È interessante notare che Ra’am e Mansour sono stati ferocemente attaccati da quelle che, per utilizzare i criteri della nostra politica, potremmo chiamare la sinistra e la destra. Ayman Odeh, leader del partito arabo Hadash e della coalizione Lista Comune, ha detto alla Knesset che «solo persone malvage, che odiano se stesse e i loro elettori, possono appoggiare una legge così», mentre un’altra parlamentare araba, Aida Touma-Suleiman, ha rincarato la dose dicendo che «per la prima volta un partito arabo ha votato per appoggiare i mali peggiori dell’occupazione». Dal fronte di Benjamin Netanyahu e del Likud arrivano accuse analoghe, ma di verso opposto: Ra’am è una quinta colonna di Hamas e, per dirla con Netanyahu, «questo governo è terribile e va rovesciato al più presto».

Più o meno le stesse critiche dividono gli arabi israeliani. Ra’am «si è venduto alla potenza occupante»; «no, sta finalmente ottenendo qualcosa per noi». Dell’attuale coalizione che governa Israele fanno parte otto partiti, quindi il compromesso è all’ordine del giorno per tenere in vita il governo e conciliare esigenze che spesso sono molto diverse, se non opposte. E Ra’am non può sfuggire a questa dinamica. Il che, forse, si traduce per tutti in un bagno di saggezza e umiltà, visto che la polarizzazione e il radicalismo hanno caratterizzato negli ultimi anni lo sviluppo della società israeliana, con i risultati che abbiamo visto.

Il dilemma è molto acuto presso la corposa minoranza (20 per cento circa della popolazione) degli arabi cittadini di Israele e i partiti che la rappresentano. L’occupazione e la discriminazione sono realtà concrete e terribili, questo non è in discussione. Ma la lotta per piegare Israele e la sua tanto preponderante forza (economica, militare e politica) è la risposta giusta? È la risposta che meglio rappresenta gli interessi degli arabi israeliani e, per estensione, dei palestinesi della Cisgiordania e di Gaza? Questa è la vera domanda. E Ra’am ha dato la sua risposta.

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