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Un ricordo del professor Sami Basha

Giulia Ceccutti
25 ottobre 2021
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Un ricordo del professor Sami Basha
Il professor Sami Basha, scomparso il 20 ottobre 2021 all'età di 52 anni.

Ci ha prematuramente lasciati il 20 ottobre scorso, a Siracusa, il professor Sami Basha, stimato pedagogista con cittadinanza palestinese e italiana.
Apprezzato per il suo tratto umano e gli studi nel campo della disabilità.


Sabato 23 ottobre si sono svolti a Siracusa i funerali del prof. Sami Basha, deceduto nella notte del 20 ottobre nel capoluogo siciliano a 52 anni d’età. Di nazionalità palestinese – e sposato con una cittadina italiana – Basha aveva completato gli studi a Roma e nel 2018 era tornato a vivere in Italia dopo dodici anni trascorsi negli Stati Uniti e nella sua terra natale.

Con la sua scomparsa viene a mancare una personalità riconosciuta e stimata a livello internazionale per il suo tratto umano e professionale. La sua era una voce equilibrata, chiara nell’esporre gli ostacoli della vita sotto occupazione nei Territori Palestinesi – anche dal punto di vista di un padre di famiglia, membro della minoranza cristiana e cattolico da generazioni. La denuncia era sempre accompagnata da un atteggiamento mite e uno sguardo aperto e positivo.

Attualmente presidente dell’American University of Sicily, il professor Basha è stato per anni docente di pedagogia presso diverse università palestinesi nonché, tra il 2017 e il 2018, consigliere del ministero della Pubblica Istruzione dell’Autorità Nazionale Palestinese. Nel 2013 è stato insignito del premio americano Dises del Council for Exceptional Children per l’impegno a difesa della disabilità, con particolare attenzione alla sindrome autistica.

Va ricordato anche in quanto autore, per EduCatt, del Basha Behavioural Autism Spectrum Disorder Screening Test (Bat), uno strumento diagnostico per l’autismo pubblicato in diverse lingue.

Su Terrasanta.net lo avevamo intervistato lo scorso anno sul tema complesso della disabilità nei Territori palestinesi, mentre la rivista Terrasanta ne aveva schizzato un profilo nel 2008 (clicca qui per accedere all’articolo conservato nell’archivio storico del bimestrale).

La collega Rita Sidoli – già docente di Pedagogia speciale all’Università Cattolica di Milano, legata da un profondo rapporto di amicizia con Sami Basha, con cui ha lavorato per anni in diversi centri in Palestina proprio sul tema della disabilità – raggiunta al telefono ne ricorda l’equilibrio, la disponibilità a «guardare» gli uni e gli altri. «Era un uomo capace di scegliere il cammino dell’equilibrio, e di farlo con amore. Sapeva mediare tra culture diverse, nonostante le difficoltà della vita in Palestina. “Vedeva” i palestinesi ma “vedeva” anche gli israeliani. Ha sempre mantenuto uno sguardo equilibrato e attento alle capacità e potenzialità di entrambe le parti».

Va menzionata in proposito la ricerca di Basha nell’ambito della cosiddetta «pedagogia della liberazione» in Palestina, condotta con l’obiettivo di far emergere ruoli e relazioni tra oppressi e oppressori: grazie a questo strumento ha offerto nuovi modi per coltivare relazioni produttive in un contesto di conflitto.

Numerosi anche i suoi studi sull’importanza delle reti educative, della «pedagogia di frontiera» e del ruolo in campo educativo della comunità cristiana come minoranza nel mondo arabo.

Il 27 gennaio 2020, invitato a tenere una relazione in occasione della Giornata della Memoria presso l’Università della Terza età di Canicattini Bagni (Siracusa) si espresse con queste parole, che, ancora una volta, mettevano al centro l’uomo, e che suonano – oggi – come un’eredità su cui continuare a riflettere: «È la prima volta che parlo nella giornata della memoria. 
Può apparire un paradosso che io, da italo-palestinese, parli della sofferenza del popolo ebraico e dell’antisemitismo. Io sarei potenzialmente nemico degli ebrei, anzi l’opinione pubblica e i mass media mi impongono la maschera di oppositore. Invece per la mia identità questo paradosso non esiste. (…) L’atteggiamento preconcetto è un grande ostacolo perché danneggia l’immagine dell’altro. Invece celebrare la Giornata della Memoria significa per me cogliere il senso di quello che non è stato allora. Bisogna far cadere l’immagine del nemico, dello straniero, del diverso per lasciare emergere soltanto l’umanità presente in ciascuno di noi. E questo lo posso fare solo se sto in ascolto della memoria dell’altro, che significa voler conoscere la sua storia e la sua narrativa. Fare tesoro appunto della sua memoria. Nel nostro tempo stiamo assistendo, in silenzio, a un fenomeno di confusione antropologica, in cui il concetto di persona umana non esiste più, in nome di forze politiche, economiche e mediatiche che non tengono conto di nessuno. Tuttavia devono esistere delle soluzioni che possono fare diventare concreto il “mai più” urlato dai pontefici. Mai più guerre, mai più muri, mai più stermini di popoli».

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