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Il baluardo di Atarot

Giorgio Bernardelli
18 ottobre 2021
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Tra i piani urbanistici all'esame del governo israeliano c'è la costruzione di 9mila nuove case per ebrei ad Atarot, tra Gerusalemme e Ramallah. Se venisse realizzato, il progetto andrebbe persino oltre il piano Trump.


C’era una volta un aeroporto a Gerusalemme. E in un tempo nemmeno poi così lontano: perché è vero che il campo volo di Atarot – a nord della Città Santa, nei pressi di quello che oggi è il check-point di Qalandia – lo inaugurarono gli inglesi ormai un secolo fa. Ma dal 1936 fino al 2000 è stato comunque aperto al traffico privato (dal 1967 sotto controllo israeliano), compresi alcuni voli interni. E negli anni degli accordi di Oslo – quelli che avrebbero dovuto portare alla nascita dei due Stati per i due popoli – quello di Atarot era anche diventato l’aeroporto a cui tutti a Ramallah pensavano quando chiedevano che il futuro Stato palestinese potesse contare su un proprio scalo internazionale, autonomo rispetto a quello di Tel Aviv.

Poi arrivarono gli anni della seconda intifada e il muro di separazione, che passa proprio in questa zona. E Israele (che ne ha sempre mantenuto il controllo) decise di chiudere Atarot. Da vent’anni la sua pista giace abbandonata, con il governo israeliano che ha puntato piuttosto sul treno ad alta velocità per collegare in meno di un’ora Gerusalemme all’aeroporto Ben Gurion. Ora, però, Atarot sta tornando di attualità per l’ennesimo progetto urbanistico che metterebbe la parola fine non solo a ogni ipotesi su uno scalo internazionale palestinese, ma anche più prosaicamente alla possibilità di una continuità territoriale tra Ramallah e Gerusalemme est.

Nell’ultima ondata di nuovi progetti urbanistici per l’espansione degli insediamenti israeliani a Gerusalemme est arrivati sul tavolo degli organi amministrativi competenti, infatti, ce n’è uno che prevede la costruzione di 9mila nuove case proprio ad Atarot. Non si tratta certo di una sorpresa: è un’idea che a Gerusalemme di tanto in tanto riaffiora, soprattutto quando i politici vogliono strizzare l’occhio al mondo dei coloni. Ma la novità sostanziale è che ora c’è un progetto ufficiale che andrà in discussione; il che significa che nell’eterogeneo governo guidato da Naftali Bennett c’è stato almeno un primo avallo politico alla sua presentazione.

I giochi probabilmente sono tutt’altro che fatti: l’iter di approvazione è lungo e i numeri dell’esecutivo sono tali da sollevare più di un dubbio sulle reali intenzioni di portarlo fino in fondo. Però sta di fatto che adesso agli atti la proposta c’è. E si capisce che da parte palestinese sia partita una levata di scudi, che chiama in causa anche Washington.

Se dovesse essere realizzato, infatti, dal punto di vista urbanistico il nuovo quartiere di Atarot sarebbe una svolta di pari peso alla costruzione di Har Homa, il grande insediamento voluto da Benjamin Netanyahu nel 1997 tra Gerusalemme e Betlemme per porre fisicamente una barriera di case ebraiche tra il cuore della Città Santa e un’area ad alta densità di popolazione palestinese. Diventerebbe l’ennesimo «dato di fatto politico» ottenuto da Israele per via urbanistica, indipendentemente da ogni negoziato sul futuro non solo di Gerusalemme ma anche della stessa Palestina.

Per questo motivo, probabilmente, nelle prossime settimane la questione degli insediamenti ritornerà un tema caldo in Medio Oriente e sarà la vera cartina di tornasole per capire qual è realmente la politica di Joe Biden su Gerusalemme. Con un risvolto curioso: oltre a contraddire quanto veniva ventilato vent’anni fa ai tempi degli Accordi di Oslo, l’insediamento di Atarot sarebbe in contraddizione persino con il piano presentato da Donald Trump nel 2020. Anche nell’ipotesi di soluzione del conflitto più sbilanciata dalla parte di Israele che la Casa Bianca abbia mai presentato, infatti, l’area di Atarot veniva vista come un asset fondamentale per il mondo palestinese. Trump non ci avrebbe comunque realizzato l’aeroporto; con un’idea tipicamente da immobiliarista l’avrebbe piuttosto trasformata in una «zona turistica di prima classe a sostegno del turismo musulmano a Gerusalemme», con navette che da qui avrebbero dovuto condurre i visitatori ai luoghi santi dell’islam. Per quanto naive possa apparire quest’idea, appare del tutto evidente come sia incompatibile con l’ipotesi di un grande insediamento ebraico con 9mila nuove abitazioni.

Clicca qui per leggere l’articolo di al Monitor sul progetto di un nuovo insediamento ad Atarot

Clicca qui per leggere la scheda sul sito di Peace Now

Clicca qui per leggere un articolo di The Times of Israel in cui si ricorda qual era la destinazione di Atarot nel «piano di pace» di Trump

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