Nei Paesi del Medio Oriente e Nord Africa c’è sempre meno acqua. Hanno circa il 5 per cento della popolazione globale e solo l’1 per cento delle risorse d’acqua rinnovabili. Occupano un decimo delle terre emerse su cui cade solo il 2 per cento delle piogge.
Non è un caso che, tra i Paesi del mondo che mettono maggiormente sotto pressione le proprie riserve idriche, ci siano tutti i sette Stati della Penisola araba, ma anche Israele, la Giordania e, in Nord Africa, la Libia.
Alcuni Paesi, come Egitto e Iraq, dipendono soprattutto dall’acqua di superficie, mentre altri, come Siria e Giordania, in buona misura anche da riserve sotterranee. Tutti i Paesi usano quantità sempre maggiori di acque reflue depurate e i Paesi del Golfo ricorrono agli impianti di dissalazione. Ma, nel complesso, i fiumi costituiscono ancora la principale fonte di approvvigionamento per la maggior parte della popolazione.
Più di metà dell’acqua di superficie nel mondo arabo proviene da oltre confine.
Hanno bacini fluviali transnazionali il Nilo, vitale per tutto l’Egitto, che lo condivide con altri nove Paesi africani; in Mesopotamia il sistema Tigri – Eufrate – Shatt-al-Arab, fondamentale per la vita dell’Iraq, che lo condivide con Turchia, Siria e Iran. Ma anche bacini più ridotti non sono meno complessi dal punto di vista geopolitico: quello dei fiumi Oronte e Afrin è suddiviso tra Siria, Libano e Turchia, e quello del Giordano, fra Israele, Giordania, Cisgiordania, Libano e Siria. La gestione idrica di questi fiumi è causa di tensioni politiche, quando non di veri e propri conflitti militari. Giordania e Cisgiordania, ad esempio, dipendono dal Giordano che è controllato da Israele.
Transfrontaliere sono anche le falde sotterranee. Alcuni Paesi stanno attingendo a queste fonti (il prelievo in Egitto è tre volte il ricambio, in Libia otto volte, in Arabia Saudita quasi dieci volte). Soprattutto nella Penisola arabica e nella Striscia di Gaza si deve fare affidamento sulle falde sotterranee e/o sulla dissalazione per gran parte dell’approvvigionamento.
Nel mondo dieci Paesi (sette nella Penisola arabica) prelevano acqua più rapidamente dei tempi di ricostituzione delle riserve. Le fonti d’acqua fossile sotterranea non sono rinnovabili. Perciò nei Paesi arabi del Golfo, ma anche in Israele, la carenza d’acqua ha portato a investire molto nella dissalazione (oltre metà della quantità mondiale), ma questa comporta elevati costi ambientali per l’impiego di energia da idrocarburi.
Infine, una provenienza alternativa è l’«acqua virtuale», termine che indica l’acqua usata per beni importati, soprattutto alimenti, da altre parti del mondo. Ma anche la dipendenza dall’estero comporta rischi, ad esempio legati agli choc dei prezzi. Sette Paesi della regione sono tra i primi trenta importatori mondiali di grano.
Crescita demografica, movimenti di popolazioni (profughi e rifugiati interni, urbanizzazione), degrado ambientale contribuiscono all’aumento della domanda, alla diminuzione di disponibilità e al deterioramento della qualità dell’acqua. Solo politiche responsabili, pianificazione e cooperazione possono garantire la stabilità regionale, migliorando l’efficienza agricola, le infrastrutture, riutilizzo e riciclo. Investimenti strategici nell’approvvigionamento idrico servono a interrompere il circolo vizioso dell’insicurezza e dell’instabilità. (f.p.)