(g.s.) – Dieci anni fa, il 27 luglio 2011, moriva in un ospedale di Baltimora mons. Pietro Sambi, all’epoca nunzio apostolico negli Stati Uniti. L’arcivescovo era stato trasferito a Washington, come ambasciatore del Papa, sul finire del 2005, chiamato a lasciare Gerusalemme dove era rimasto come rappresentante pontificio a partire dal 1998.
A Sogliano al Rubicone, piccolo centro dell’entroterra riminese, dove Sambi ebbe i natali 83 anni fa i suoi concittadini lo ricordano ancora con affetto nel decennale della scomparsa. Negli anni scorsi la municipalità ha acquisito la proprietà di casa Sambi, ove l’arcivescovo amava tornare ogni anno per un breve periodo di riposo. L’edificio è stato ristrutturato e trasformato in un Centro internazionale per la pace. L’inaugurazione è prevista per domenica prossima, primo agosto alle 17.00. La semplice cerimonia sarà seguita dalla celebrazione della messa nella parrocchiale di San Lorenzo Martire, che sorge poche centinaia di passi più a monte di casa Sambi. Alle 20.30 appuntamento in piazza per tornare sul tema della pace, che stava tanto a cuore al nunzio soglianese. Oltre al sindaco Quintino Sabattini interverranno fra Ibrahim Faltas della Custodia di Terra Santa e l’arcivescovo Giovanni Tonucci, quasi coetaneo e conterraneo di Sambi, e come lui nunzio nel servizio diplomatico pontificio.
Lo stesso monsignor Sambi ci teneva a precisarlo: non amava l’espressione «carriera diplomatica». Preferiva un alfabeto diverso, aveva spiegato nel corso di un’intervista concessa nel 2017 al nostro direttore Giuseppe Caffulli, che lo aveva incontrato nella capitale statunitese. «Il nostro è un servizio – chiosava il nunzio –. Lei sa che non possiamo chiedere di entrare nel servizio diplomatico della Santa Sede. Se uno lo chiede, viene automaticamente escluso. Siamo scelti. La ragione è questa: dobbiamo entrare in questo servizio come preti, per portare i valori di Gesù Cristo e del Vangelo in un difficile campo. Non dobbiamo entrare per fare vita da jet society».
Nello stesso colloquio – poi pubblicato in due diverse versioni su Terrasanta.net e sulla rivista Terrasanta (gennaio-febbraio 2008, pp. 56-61) – l’arcivescovo rammentava il periodo trascorso a Gerusalemme con gratitudine. Ricordava di averci messo piede per la prima volta nel 1971, per lavorare alla delegazione apostolica ancor giovane prete: «Un’emozione incredibile. Pareva di incontrarlo quasi fisicamente il Signore Gesù nei luoghi legati alla sua vita».
Molti anni più tardi, nel 1998, mons. Sambi venne nuovamente inviato nella Città Santa, stavolta da san Giovanni Paolo II: «Fu una sorpresa. Non pensavo che ci sarei tornato, ma Gerusalemme entra sotto la pelle, diventa parte di te stesso. Quando mi fu detto che il Papa voleva inviarmi di nuovo là come nunzio ho provato una grande allegria. I pellegrini mi hanno chiesto molte volte perché non dessi mai l’impressione di avere un minimo di paura. C’era pericolo per la vita, però occorre che l’uomo si adatti anche alla paura. C’è una risposta di fede: Signore, è un dono di stare nella terra dove ti sei incarnato. Se anche dovessi morire, quale altro posto migliore di questo per partire verso di te?».