In pieno Cinquecento, per le strade di Roma poteva capitare di imbattersi in un umile e semplice frate cappuccino che per quarant’anni si dedicò alla questua di pane, olio e vino per i suoi confratelli senza trascurare di assistere ammalati e poveri. Dormiva appena due o tre ore e il resto della notte lo trascorreva in preghiera. Si tratta di san Felice da Cantalice da tutti chiamato «frate Deo gratias» per il suo abituale saluto. Pastore e contadino, decise di farsi religioso tra i frati Cappuccini dove alimentò l’innata inclinazione a una vita austera, ascoltando leggere le vite dei Padri della Chiesa. Fu amico di san Filippo Neri e san Carlo Borromeo ne ricercava la compagnia per riceverne consigli spirituali.
Una bella figura di santità francescana che mi ha sempre molto colpito per la sua capacità di entrare in rapporto con tutti: poveri e ricchi, sani e ammalati, peccatori e santi. Da tutti, come già detto, era conosciuto come il frate che aveva sempre sulle labbra il ringraziamento a Dio, cioè la capacità di riconoscere in tutto e tutti l’origine divina. Così come nell’esperienza spirituale di san Francesco che definiva Dio come il «Grande Elemosiniere», ossia l’autore e il datore di ogni bene a favore dell’uomo. Spesso, negli scritti del Poverello d’Assisi, troviamo espressioni come «tutto il bene appartiene a Dio», o procede da Dio, oppure a Dio va attribuito.
Un chiaro esempio lo troviamo nella prima regola scritta da Francesco al capitolo XVII: «E attribuiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamogli grazie, perché procedono tutti da Lui. E lo stesso altissimo e sommo solo vero Dio abbia, e gli siano resi ed Egli stesso riceva tutti gli onori e l’adorazione, tutta la lode e tutte le benedizioni, ogni rendimento di grazia e ogni gloria, poiché ogni bene suo ed Egli solo è buono».
Francesco ringrazia Dio per la creazione, per il sole e la luna, per gli animali e per gli uomini capaci di perdono, per il cielo nuvoloso e per il bel tempo e persino per sorella morte. Soprattutto Francesco ringrazia Dio per il dono di Gesù, per l’umiltà della sua incarnazione e per la carità della sua passione e morte. Francesco è consapevole della sproporzione tra l’immensità dei doni celesti e la piccolezza della creatura. Per questo chiede aiuto allo stesso Gesù affinché rivolga un degno grazie al Padre suo: «E poiché tutti noi miseri e peccatori, non siamo degni di nominarti, supplici preghiamo che il Signore nostro Gesù Cristo Figlio tuo diletto, nel quale ti sei compiaciuto, insieme con lo Spirito Santo Paraclito ti renda grazie così come a te e a lui piace, per ogni cosa, Lui che ti basta sempre in tutto e per il quale a noi hai fatto cose tanto grandi».
Un tempo era comune rispondere alla domanda «Come stai?» con «Bene, grazie a Dio». Anzi mia nonna, così come era uso in un contesto permeato dalla coscienza cristiana, diceva semplicemente «Ringraziamo Dio», sottointendendo «Sto bene».
In Terra Santa, come in tutto il Medioriente, sempre si sente rispondere alla domanda «Come stai?», dagli arabi di qualsiasi religione, con l’espressione Alhamdulillah, che potremmo tradurre semplicemente con «Grazie a Dio», o meglio «La grazia sia resa a Dio». Tutti i beni sono riferiti a Dio: la salute, il lavoro, la famiglia, la vita stessa.
Il salmo ottavo recita: «Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi?» (vv. 4-5). Il salmista contempla il mistero del creato e si domanda quale disegno d’amore dev’esserci dietro un’opera così meravigliosa. E, in questa sconfinata vastità, che cosa è l’uomo? «Quasi un nulla», dice un altro Salmo (cfr 89,48): un essere che nasce, un essere che muore, una creatura fragilissima. Eppure, in tutto l’universo, l’essere umano è l’unica creatura consapevole di tanta bellezza. La preghiera di ringraziamento è strettamente legata al sentimento dello stupore. Se le vicende della vita, con tutte le sue amarezze – soprattutto in questi ultimi mesi – rischiano talvolta di soffocare in noi lo stupore e la meraviglia, basta la contemplazione di un cielo stellato, di un tramonto, di un fiore, per riaccendere la scintilla del ringraziamento.
Abbiamo bisogno di allenare la nostra vista a riconoscere i doni del Signore in qualsiasi situazione. Perché c’è sempre un punto di bellezza nella nostra vita per cui ringraziare e da cui ripartire.
Eco di Terrasanta 4/2021
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L’Anno santo iacobeo si celebra non solo a Santiago de Compostela ma anche a Pistoia, fino al 25 luglio 2022. La cattedrale cittadina conserva una reliquia dell’apostolo e anche nella città toscana sono attesi fedeli e pellegrini