Tra marzo e aprile 2021, nella Striscia di Gaza, lontano dagli eventi bellici delle ultime settimane, tre tombe del periodo bizantino sono state portate alla luce nel sito archeologico del monastero di Sant’Ilarione. Con i suoi 15 mila metri quadrati, il complesso monastico è il più antico e il più grande di tutta la Terra Santa. Era in grado di ospitare un centinaio di monaci e accogliere tra le sue mura altrettanti pellegrini, che affluivano lungo la strada verso il monastero di Santa Caterina nel Sinai. Altri viandanti potevano inoltre accamparsi vicino al pozzo nei pressi del monastero.
Situato a Nusseirat, oltre 10 chilometri a sud di Gaza città, lungo il cordone delle dune costiere, il monastero prende il nome dall’eremita e monaco del Quarto secolo che è considerato il fondatore del monachesimo cristiano in Palestina. In anni recenti gli archeologi hanno ritrovato sul sito il primitivo complesso ecclesiastico in cui visse. La struttura si è sviluppata in più fasi: almeno tre chiese vi si succedettero tra il Quinto e il Settimo secolo. Il sito comprende anche edifici per l’accoglienza dei pellegrini costituiti da una grande foresteria e da un bagno. Sotto la chiesa più tarda si trova una cripta dedicata a Ilarione, la più grande dell’intero bacino del Mediterraneo orientale.
«Una tomba privilegiata»
Le tombe scoperte di recente, prive di iscrizione, «sono tutte e tre cristiane», secondo quanto afferma l’archeologo René Elter, ricercatore della Scuola biblica e archeologica francese di Gerusalemme e dal 2001 direttore del programma scientifico e di restauro del sito. Le tombe contengono alcuni scheletri. I defunti furono probabilmente sepolti avvolti in un sudario fatto di garza (un tessuto di cotone usato abbastanza comunemente a Gaza) o di lino. La decomposizione delle salme ha completamente distrutto l’involucro tessile.
La prima tomba si trova nella cappella battesimale del monastero. Fu riutilizzata di continuo tra la fine del Sesto e la fine del Settimo secolo. Conteneva almeno cinque individui: doveva trattarsi, probabilmente, di una tomba di famiglia. Data la sua posizione, era «una tomba privilegiata», riservata a persone che sostenevano il monastero con donazioni e che in cambio potevano continuare a seppellire i propri defunti il più vicino possibile alla tomba di Ilarione o a ciò che era stata la cella del santo.
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Le altre due tombe risalgono al Settimo secolo e sono state trovate in uno spazio che avrebbe potuto essere un cortile. Si tratta di singole fosse sepolcrali, il che significa che c’è stato un solo uso della sepoltura.
Una splendente pavimentazione in restauro
Per René Elter, il fatto più importante degli ultimi mesi resta però, senza dubbio, l’inizio del restauro di un pavimento musivo «abbagliante», quello del coro della primitiva chiesa del monastero. Risale al primo quarto del Quinto secolo. Ai piedi di questo pavimento, quindi ai piedi del coro, sopra il cenotafio di Ilarione, si sviluppa un secondo pavimento su cui si può leggere un’iscrizione in greco che cita il santo.
Scoperta nel 2003, la pavimentazione policroma del coro con motivi geometrici, cerchi, rombi e intrecci fa apparire alcune croci, ma è parzialmente crollata nel cenotafio di Ilarione. Le cause di quel crollo sono molteplici: mancanza di manutenzione del sito per carenza di risorse umane e finanziarie tra il 2006 e il 2010; una situazione politica complicata che ha impedito agli archeologi l’accesso a Gaza; piogge torrenziali e devastanti durante gli inverni. «Le vibrazioni legate ai bombardamenti dell’operazione militare israeliana Piombo fuso (dicembre 2008 – gennaio 2009, ndr) hanno certamente accelerato il crollo, influenzando indirettamente la stabilità della sabbia della duna», spiega l’archeologo Elter.
Il deperimento è stato arginato nel 2010 realizzando una protezione di emergenza. A partire dal 2018 è stata messa in atto una nuova fase di recupero e salvaguardia. Attualmente, archeologi e restauratori lavorano al ripristino delle parti crollate. Questa operazione segue la completa rimozione di tutte le parti della pavimentazione, crollate o non crollate che fossero. L’obiettivo è di ricollocarle in autunno nel coro della chiesa primitiva, avendo prima fatto scavi nella tomba sottostante.
Il sito è lungi dall’aver finito di raccontare la sua storia e il grande obiettivo dei ricercatori è di perpetuarla. Un desiderio che ha iniziato a realizzarsi grazie ai finanziamenti del Cultural Protection Fund del British Council per gli anni 2018-2021 e attualmente con un fondo della Fondazione Aliph, creata a metà degli anni 2010 e finanziata, tra gli altri, da fondi dei Paesi del Golfo.
Sul campo, il programma è condotto dall’ong Première Urgence Internationale, sostenuta scientificamente dalla Scuola biblica e archeologica francese di Gerusalemme e sotto il controllo del ministero del Turismo e delle Antichità palestinese. Non deve sorprendere trovare in questo contesto un’ong conosciuta per le sue azioni umanitarie (cosa abituale a Gaza), perché, come osserva René Elter, «patrimonio e cultura sono elementi forti nella strutturazione degli individui e del loro sviluppo».
In prospettiva, la protezione dell’Unesco
L’obiettivo negli anni futuri potrebbe essere l’iscrizione al patrimonio mondiale dell’Unesco, già partner del progetto: sarebbe un segno molto positivo per Gaza, la Palestina e la comunità internazionale. Ogni giorno lavorano nel cantiere 35 giovani, ragazzi e ragazze, studenti e operai. Una delle componenti importanti del progetto è la formazione. A Sant’Ilarione riguarda l’archeologia, il taglio della pietra, il restauro di vecchie murature, pavimenti a mosaico, intonaci dipinti. Due studenti sono stati preparati come guida e addetti all’accoglienza dei visitatori. Un circuito di passerelle permette di scoprire le strutture e i restauri in corso oltre che porre domande al personale al lavoro.
Il pubblico può conoscere così la chiesa, il battistero, l’atrio, la cripta, il bagno e la foresteria, ma anche la storia di Gaza, dai romani ai primi secoli dell’islam. Prima della pandemia di coronavirus, tra il 2018 e il 2020, ogni mese un migliaio di visitatori, perlopiù bambini e ragazzi di Gaza, venivano accolti in questi luoghi dal ricco passato cristiano, un elemento importante, dal momento che la popolazione gazawi è prevalentemente musulmana. Il sito gode in generale di una buona fama, come luogo di conoscenza e comprensione delle radici storiche e culturali di quel territorio. (c.I./f.p.)