Il rinvio delle tanto attese elezioni palestinesi, deciso il 29 aprile scorso, è stato accolto con disillusione e in un clima di frammentazione della società. Le considerazioni di due politologhe arabe.
Non è stata una sorpresa per i palestinesi l’annuncio del presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas di rimandare le elezioni finché non si potranno tenere anche a Gerusalemme est. «Fin dalla convocazione delle elezioni la gente era abbastanza scettica che si sarebbero tenute» dice la politologa Inès Abdel Razek, direttrice delle campagne di advocacy del Palestine Institute for Public Diplomacy (Pipd). Quel che conta, rimarca, è che oggi «il paradigma della sopravvivenza, della resistenza nella vita quotidiana fra l’Occupazione e la pandemia che morde, le restrizioni alla mobilità e la scarsità di vaccini, è di gran lunga prevalente sulle aspirazioni di un cambio della leadership politica, che viene percepita come qualcosa di remoto e non di vitale per la sopravvivenza».
L’elettorato disilluso pensa al quotidiano
In un recente dibattito la giovane studiosa ha ricordato come la società palestinese sia oggi ancora più frammentata che in passato, ed anche per questo esclude che ci saranno proteste o scontri di piazza per la decisione del presidente. «Probabilmente – ha osservato – cresceranno le critiche verso Mahmoud Abbas. Ma è un fatto che la nostra è una società già molto frammentata e vessata dai limiti imposti dall’Occupazione (israeliana)». Basti pensare a Gerusalemme est, dove l’annessione da parte di Israele e l’assenza dell’Autorità palestinese costituiscono una realtà di fatto da molti anni. «I palestinesi di Gerusalemme est – dice Inès Abdel Razek – cercano di difendere quel minimo di spazio pubblico e di accessi alla città vecchia che sono rimasti, primi fra tutti quelli della Porta di Damasco dove sono avvenuti gli scontri delle ultime settimane. La priorità è la difesa dei diritti umani minimi, di libertà di movimento, di istruzione, di accesso alle cure sanitarie».
I danni per l’economia
Le conseguenze più pesanti si avvertiranno sull’economia, avverte la professoressa di origine giordana Leila Farsakh, docente di Scienze politiche alla University of Massachusetts di Boston e una delle massime esperte sullo stato dell’economia palestinese. Secondo la studiosa la stessa frammentazione territoriale fra Gerusalemme, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza contribuisce all’aumento della povertà e, unita al basso tasso di vaccinazione, alla caduta del Pil. «Il rinvio delle elezioni – afferma la Farsakh – avrà un impatto pesante sull’economia perché l’Autorità palestinese ha bisogno di risorse economiche, ovvero di capitali e investimenti per risollevare questa situazione, e in secondo luogo perché ha bisogno di riforme. Numerosi sondaggi e ricerche rivelano che i palestinesi sono stufi della corruzione e delle crescenti disuguaglianze, e sono delusi dalla scarsità degli aiuti internazionali. Basti pensare che siamo passati dai due miliardi di dollari di aiuti nel 2013 ai 200 milioni di dollari oggi. Gli effetti si fanno sentire. L’Autorità palestinese avrebbe bisogno di 400 milioni di dollari per l’acquisto dei vaccini. Soldi non ci sono. Le elezioni avrebbero potuto in qualche modo indirizzare delle azioni per risollevare l’economia».
In Cisgiordania Pil crollato dell’11 per cento
I numeri non lasciano adito a dubbi. A causa della pandemia, ha ricordato Leila Farsakh, in Cisgiordania il Pil è crollato dell’11 per cento e si calcola che l’80 per cento delle piccole e medie imprese non abbiano liquidità; il tasso di disoccupazione è salito al 30 per cento. «Gerusalemme è, sì, annessa ad Israele, e dunque il tasso di vaccinazione è maggiore che nei Territori – ha aggiunto la professoressa –, ma si stima comunque che il 70 per cento dei residenti a Gerusalemme est siano poveri rispetto alla popolazione israeliana nel resto della città, e continuano a subire espropri e demolizioni». Nella Striscia di Gaza il tasso di disoccupazione è salito al 47 per cento (nel primo trimestre del 2020 era del 45,5 per cento secondo l’Ufficio centrale di statistica palestinese). Lo scorso novembre un rapporto della Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo (Unctad) ha stimato in 16 miliardi di dollari il prezzo dell’embargo aereo, marittimo e terrestre su Gaza fra il 2007 e il 2018. Si calcola che oggi l’80 per cento della popolazione della Striscia dipenda dagli aiuti umanitari internazionali.