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Istruzione palestinese, le emergenze oltre il Covid

Giulia Ceccutti
30 aprile 2021
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Istruzione palestinese, le emergenze oltre il Covid
Il sogno di una scuola oasi di pace nel disegno di un piccolo palestinese della Cisgiordania. (Save the Children)

Nei Territori palestinesi, come altrove nel mondo, la regolarità degli ultimi due anni scolastici è stata compromessa dalla pandemia in corso. Qui però il Covid-19 non è che l'ultima aggravante di una situazione già non facile.


Nell’ultimo anno la scuola è stata all’attenzione di tutti perché è tra i settori più colpiti dall’emergenza sanitaria da Covid-19. Anche in Terra Santa gli studenti, grandi e piccoli, hanno risentito delle ripetute chiusure. Molti i giorni di didattica alternativa e a distanza, laddove possibile.

Nei Territori Palestinesi le scuole hanno riaperto, seppure in modo limitato, da aprile. Il recente picco di casi positivi nei Territori aveva portato a una chiusura quasi totale il 7 marzo scorso, con tutte le lezioni in presenza sospese, salvo che alle superiori.

A Gerusalemme, invece, già a marzo le aule avevano iniziato una riapertura graduale solo per gli studenti più piccoli, mentre nella Striscia di Gaza, dopo varie interruzioni, le scuole pubbliche avevano riaperto a gennaio.

Un bilancio allarmante

«L’istruzione a Gaza e in Cisgiordania è stata, e continua ad essere, sottoposta a un’enorme pressione durante la pandemia», spiega Jason Lee, responsabile dell’ong Save the Children per i Territori occupati, rispondendo alla nostra domanda sullo stato dell’educazione in un contesto già così fragile. «L’emergenza sanitaria ha interrotto l’istruzione per un milione e 300mila bambini (al 51 per cento di sesso femminile), contribuendo a far perdere, finora, almeno tre mesi di scuola».

Le restrizioni di movimento, il clima d’incertezza e l’interruzione ripetuta delle lezioni hanno aumentato lo stress psicologico nei minori, con un impatto innegabile sulla loro salute mentale e sul loro benessere.

Mezzo milione di bambini, secondo i dati raccolti da Save the Children, rischia di abbandonare la scuola, e le ragazze sono particolarmente a rischio di non tornarvi più. Preoccupante è il numero di adolescenti tra i 16 e i 17 anni: un quarto di loro è fuori da scuola in anni cruciali del loro percorso, in cui dovrebbe sostenere esami importanti.

Negli ultimi mesi, l’ong ha lanciato a Gaza la campagna Back to school, volta a diffondere messaggi che sottolineano l’importanza dell’iscrizione a scuola e l’accesso continuo a un’istruzione di qualità. A Gaza inoltre, in collaborazione con il ministero dell’Istruzione e alcune realtà partner, fornisce – oltre a materiale e tecnologia di base per la didattica a distanza e supporto nell’ambito della salute mentale – sostegno a insegnanti e genitori, contribuendo alla diffusione di programmi educativi completi, che si concentrano sulla creazione di competenze fondamentali come l’alfabetizzazione e il calcolo di base.

Maggiori difficoltà per i più vulnerabili

«La chiusura periodica delle scuole, aggravata dalle difficoltà economiche dovute al Covid-19, sta portando molti bambini a entrare nel mondo del lavoro minorile, soprattutto a Gaza», sottolinea Lee. «Siamo anche preoccupati per i bambini con disabilità, quasi la metà dei quali è fortemente a rischio di abbandono scolastico a favore di un precoce ingresso nel mondo del lavoro. Tutto questo mentre i tassi di povertà continuano a salire, con un milione e mezzo di persone che vivono sotto la soglia di povertà».

Con la chiusura delle scuole, aumenta anche il divario tra i risultati dei bambini svantaggiati, o con scarso rendimento, e quelli dei loro coetanei. Dietro, non è difficile immaginarlo, c’è la minore disponibilità di dispositivi elettronici o di connessione a Internet (un bambino su cinque non ha accesso alla Rete), un minore supporto da parte delle famiglie, il venire meno di una motivazione spesso già scarsa.

«Non solo la capacità di accedere all’istruzione è stata significativamente ridotta, ma con risorse inadeguate è stato anche difficile per gli insegnanti valutare in modo corretto l’impegno dei bambini durante la didattica a distanza, o l’efficacia dell’apprendimento», precisa Lee.

L’istruzione «sotto attacco»

Al di là dell’emergenza sanitaria, l’istruzione dei giovani palestinesi è da tempo «sotto attacco» e carica di problemi.

Come sottolineato, tra gli altri, nel documento Education Cluster Strategy – Palestine 2020-2021, elaborato da Education Cluster – un coordinamento internazionale promosso da Unicef e Save the Children che collabora con l’agenzia Onu per l’assistenza ai profughi palestinesi (Unrwa), il ministero dell’Istruzione palestinese e altre realtà – l’accesso all’istruzione nei Territori Palestinesi di Gaza e Cisgiordania è da anni compromesso a causa dell’occupazione militare e del conflitto permanente con Israele.

 

Gas lacrimogeni lanciati in una scuola palestinese in Cisgiordania dai militari israeliani nel disegno di un bambino che ha preso parte a un programma promosso da Save the Children.

 

Le violazioni, in Cisgiordania, si concentrano nell’Area C – che comprende oltre il 60 per cento del territorio ed è sotto il controllo israeliano dal punto di vista amministrativo e della sicurezza –, nella città di Hebron e a Gerusalemme Est.

Nell’Area C, dove massiccia è la presenza degli insediamenti e di militari israeliani, l’istruzione è compromessa dal clima di violenza. Si registrano operazioni militari israeliane intorno alle scuole, intimidazioni e violenze nei confronti di studenti e insegnanti nel tragitto da e verso le scuole, lancio di gas lacrimogeni nelle vicinanze o all’interno degli edifici scolastici e perdita di ore di scuola a causa dei ritardi ai checkpoint.

A Hebron – città popolata da circa 33mila palestinesi e, nel centro storico, alcune centinaia di coloni israeliani – circa 4.200 studenti hanno ogni giorno il proprio percorso verso la scuola ostacolato dai posti di blocco, teatro spesso di molestie, intimidazioni e ritardi che si traducono in assenze da scuola e ricadute psicologiche.

Uno dei problemi principali dell’istruzione a Gerusalemme Est, invece, è la carenza di aule e spazi adeguati, dovuta a un regime di pianificazione restrittivo delle politiche israeliane che ha assegnato solo il 2,6 per cento del terreno per lo sviluppo di edifici pubblici per i palestinesi: si stima che siano più di 2.557 le aule mancanti all’interno del sistema scolastico pubblico palestinese.

Nella Striscia di Gaza, dodici anni di blocco hanno infine ripetutamente danneggiato una già fragile infrastruttura educativa.

Scuole a rischio di demolizione

I dati raccolti da Education Cluster parlano di 53 le scuole (45 in Area C e 8 a Gerusalemme Est) attualmente sotto ordine di demolizione, parziale o totale, o d’interruzione dei lavori.

Nel’Area C il sistema giuridico rende molto difficile la costruzione di nuovi edifici palestinesi, e le richieste di permessi di costruzione vengono accolte in numeri estremamente bassi. Questo regime restrittivo fa sì – sempre secondo Education Cluster – che diverse scuole vengano costruite senza permesso, e dunque siano costantemente a rischio di demolizione. In altri casi, invece, le demolizioni vengono messe in atto come misure punitive o effettuate nell’ambito di attività militari.

Un diritto non rispettato

«Una recente ricerca di Save the Children – aggiunge Lee – ha rilevato che per molti bambini palestinesi l’istruzione sta diventando associata a paura, ansia e stress. Le scuole non dovrebbero mai essere un bersaglio, ma uno spazio sicuro in cui i bambini possano imparare e crescere. Quando il coronavirus sarà finalmente sotto controllo, ci sarà l’opportunità di cambiare rotta e garantire il rispetto del diritto dei bambini all’istruzione».

Sempre più urgente resta, in conclusione, l’esigenza che vengano adottate misure immediate per garantire che i bambini palestinesi abbiano un accesso sicuro a un’istruzione di qualità.

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